ACAD

-Associazione Contro gli Abusi in Divisa – ONLUS –

Archivia 30 Dicembre 2017

Polizia di stato o stato di polizia?

Questa è la risposta dello Stato alla libertà d’espressione.
Questo è quel che succede in seguito all’esposizione della foto di un ragazzo ucciso dalle stesse mani di chi oggi punisce questo gesto con 167€ di multa

Polizia di stato o stato di polizia?
(I fatti si riferiscono all’esposizione di alcune fotografie di Aldro da parte dei TORINO HOOLIGANS in occasione di Torino-Napoli in curva Primavera)
A Torino purtroppo la morsa repressiva si sta intensificando su chi, non allineato e non piegato ai ricatti di questure e società, ha contribuito al ricordo di Aldro.
Il Re è nudo!
Da parecchio tempo ci tocca ascoltare la barzelletta dell’ordine pubblico, ma cosa c’entri il viso di Federico con l’ordine pubblico dovrebbero spiegarcelo.
La risposta è NULLA!
Il vero obbiettivo di 1000 leggi e regolamenti di stadio è reprimere il diritto di dissentire, il diritto di critica. L’espressione libera del pensiero.
Certi signori sono terrorizzati dal viso di un ragazzo di 18 anni.
La sua memoria pesa come un macigno sulla loro coscienza e oggi continua a vivere nel cuore e nella lotta di coloro, che non possono accettare che la sua storia e quella di molti altri come lui venga dimenticata.
Sempre più si sente parlare delle Curve come palestra di repressione.
Ciò che li è stato sperimentato, lo abbiamo visto verificarsi anche altrove.
Talvolta può accadere che la macchina del fango e della violenza di Stato si inceppi.
I fattori umani non sempre sono prevedibili.
Proprio loro, gli ultras, i violenti, i primi da colpire. I primi con i quali testare le armi repressive. Proprio loro ovunque in Italia, hanno gridato mettendoci la faccia:
NOI NON ABBIAMO PAURA. FEDERICO ENTRA E CONTINUERA’ AD ENTRARE OVUNQUE!
Ce li immaginiamo furiosi, sorpresi, preoccupati nelle loro tristi stanzette buie dove si tessano le trame della violenza di Stato e le reazioni sono state convulse, sconsiderate, illogiche.
Tutto questo per noi è inaccettabile, non abbiamo ancora misura di quante multe arriveranno, ma dalle prime convocazioni in questura ,che comprendono anche una donna di 60 anni, possiamo immaginarci che si arriverà a colpire pesantemente i ragazzi della curva Primavera. Risponderemo con la stessa forza collettiva che ha mosso la campagna #FedericoOvunque e con l’ aiuto di tutti dimostreremo che le nostre armi sono più forti delle loro.
Niente fermerà la forza della verità e del ricordo.
#FedericoOvunque

SENTENZA DE MICHIEL

Oggi, 20 dicembre 2017, a dieci giorni dalla prescrizione, è stata emessa la sentenza per il processo De Michiel.
TUTTI GLI AGENTI coinvolti nel processo sono stati CONDANNATI a 3 anni e 3 mesi, ad eccezione di uno di questi, identificato come autore del violentissimo calcio contro Tommaso, che ha ricevuto una condanna a 3 anni e 6 mesi.
Tutta la famiglia è stata invece assolta da tutte le accuse ricevute.
Finalmente, dopo quasi nove anni, un tribunale ha dimostrato la colpevolezza degli agenti, confermando il racconto dei ragazzi.
Ciò che è successo quella notte è stato un Abuso di polizia!
Tra novanta giorni verranno presentate le motivazioni della sentenza.

PROVVEDIMENTI REPRESSIVI PER la campagna #FedericoOvunque

La Questura di Terni, in un comunicato pubblicato ieri, parla in maniera generica di provvedimenti disposti nei confronti di 5 tifosi del Parma.
Lo fa senza mai menzionare l’oggetto vero della questione:
l’iniziativa per Federico Aldrovandi a cui la tifoseria del Parma come tantissime altre tifoserie ha aderito.
Questa omissione implicitamente ci spiega le vere ragioni di quei provvedimenti.
Come ce lo spiega il gesto infame della questura di Siena che ha strappato, oggi, la pezza con il volto di Aldro dalla balaustra della curva, fatto inammissibile del quale ci hanno appena informato i suoi Ultras.
Come ce lo spiegano le minacce ai sostenitori del Prato che ci denunciano questo: “Ad inizio secondo tempo, alcuni steward e poliziotti in divisa e non, (dopo aver strappato un drappo di Aldrovandi dalla curva del Siena) sono entrati nel nostro settore intimandoci (pena il DASPO) di levare lo striscione con la foto di Aldrovandi.”
Provvedimenti e gesti di una gravità enorme.
Di Federico, ragazzo di 18 anni ucciso da 4 poliziotti, non si deve più parlare.
Della risposta coordinata e di massa che hanno dato tantissime curve neanche.
Quando perdono si rintanano in un silenzio assordante con la complicità di giornali e tv, ma agiscono con la potente arma della repressione.
La repressione non fermerà né il ricordo né la lotta.
Invitiamo tutti i tifosi a segnalare pubblicamente eventuali multe e diffide ritorsive e ad informarcene.
Acad dal canto suo metterà a disposizione tutte le proprie risorse morali e materiali per assistere coloro che sono stati colpiti da questi provvedimenti.
#FedericoOvunque

FESTA Tesseramento ACAD 2018 – Per uno Stato che non Tortura

venerdi 15 dicembre 2017 al Cso Sans Papiers,  viale Carlo Felice 69 B – zona San Giovanni – Roma –

ore 19.30 Presentazione -Per uno stato che non tortura – Mimesis Edizioni : Il volume è il risultato di un percorso politico e di ricerca iniziato durante il convegno “Senza tortura. Per uno Stato che non uccide” organizzato nel 2014 presso l’Università di Padova dal Master in “Criminologia Critica e Sicurezza Sociale. Devianza, Città e Politiche di Prevenzione”, in collaborazione con l’Associazione Antigone e Ristretti Orizzonti.
Saranno presenti :
Checchino Antonini giornalista di Popoff Quotidiano e collaboratore al libro.
Avv. Paola Bevere – Associazione Antigone
Carmine Cristini (regista di Noise)

In diretta Facebook dalla pagina ufficiale della pagina e audio su www.radiosonar.net

a seguire : Concerti e Djset a cura di Radiosonar.net
ingresso a sottoscrizione o 10 euro con tesseramento valido per il 2018

Omicidio Casalnuovo, colpo di spugna in Cassazione

L’omicidio di Massimo Casalnuovo, la Cassazione annulla la condanna al maresciallo dei carabinieri. Tutto da rifare
di Checchino Antonini (da popoffquotidiano.it)
L’omicidio di Massimo Casalnuovo: tutto da rifare in sede giudiziaria. Per Osvaldo e Giovanna, per i loro figli, per tutti coloro che cercano di sostenerli riparte la mobilitazione per verità e giustizia. La Suprema Corte ha annullato la sentenza di secondo grado che aveva condannato il maresciallo Cunsolo a 4 anni e 6 mesi per il reato di omicidio preterintenzionale con interdizione di 5 anni dai pubblici uffici rimandando il giudizio alla Corte d’Assise d’Appello di Salerno per una nuova disamina. Tra quindici giorni la motivazione per capire le ragioni formali (la difesa ha parlato di un errore di notifica all’imputato) o di merito (i legali del maresciallo hanno insistito sulla tesi dell’adempimento del dovere: pare che si dovesse fermarlo ad ogni costo) che hanno convinto gli ermellini a cancellare la sentenza del 21 dicembre 2015 con cui la Corte d’Appello di Potenza condannò il Maresciallo a 4 anni e 6 mesi di reclusione e 5 anni di interdizione dai pubblici uffici per omicidio preterintenzionale, accogliendo la tesi della famiglia Casalnuovo, assistita dall’avvocato Cristiano Sandri.
Solo le attenuanti generiche consentirono un leggero sconto, sui cinque anni chiesti dal pm di Potenza, per il maresciallo che comandava la stazione dell’Arma di Buonabitacolo, nel salernitano. Il 20 agosto del 2011, durante un maldestro e violento controllo da parte di una pattuglia dei carabinieri, fu proprio il maresciallo a dare un calcio al motorino guidato dal giovane meccanico che cadde e morì. Senza una ragione se non l’abuso di potere commesso da un uomo in divisa. L’ennesima storia di malapolizia. La sentenza venne letta davanti al pubblico dopo un processo d’appello tutto a porte chiuse.
Osvaldo Casalnuovo, il padre di Massimo disse a Popoff che sperava potesse servire da monito per tutti gli altri casi. Attorno ai familiari, una cinquantina di persone: gente di Buonabitacolo, attivisti No Triv, di Libera e di Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa. Alcuni di loro c’erano anche oggi nelle lunghe ore di una sentenza pronunciata solo in tarda serata. «Finisce così – commenta Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa – la lunga giornata di oggi, con parecchio amaro in bocca e con l’annullamento della sentenza. Tra 15 giorni verranno rese pubbliche le motivazioni e su quelle, si capirà come procedere per il nuovo processo d’appello. Continua così questa lunga, infinita ed estenuante strada verso la giustizia…».
Chi ha visto ha rifertito con precisione di quel calcio sferrato dal maresciallo al motorino. Sotto la scarpa del maresciallo sono state riscontrate, dalla polizia scientifica di Roma, delle microparticelle della vernice blu del motorino. Un agente della stradale di Sala Consilina ha riferito dell’orma sul sellino del plantare della scarpa e dello sfondamento della scocca dello scooter. «Da parte nostra abbiamo fornito delle consulenze tecniche adeguate che spiegano la dinamica della caduta, la compatibilità con la scarsa velocità del mezzo e con la qualità del fondo stradale. Senza quel calcio mio figlio sarebbe stato ancora vivo».
“Il ragazzo viaggiava su uno scooter, era senza casco ma attenzione – si può leggere sulla scheda preparata da Acad – non è morto per aver sbattuto la testa (come si tende a far credere) ma per la violenta botta al torace. Massimo era appena uscito dall’officina in cui lavorava con il padre, non prendeva il motorino da un po’ di tempo. Lo aveva appena aggiustato. Era stato a fare un giro e stava tornando a casa. Non aveva indossato il casco. Lo fanno un po’ tutti a Buonabitacolo. Quella sera la pattuglia dei carabinieri con a bordo il maresciallo Giovanni Cunsolo e l’appuntato Luca Chirichella decide di controllare i ragazzi senza casco, ne fermano due: Elia Marchesano e Emilio Risi. I carabinieri mettono la macchina di traverso sulla strada e formano una specie di posto di blocco. Peccato che lo facciano dietro una curva. La “scena” si svolge sulla strada principale della città, via Grancia, che porta a una piccola piazza dove di sera si ritrova la gente del paese. Cunsolo è seduto dentro la gazzella e sta redigendo la contravvenzione. Massimo sta arrivando con il suo scooter Beta 50. Sin dal primo momento la versione dei due ragazzi fermati e quella del carabiniere sono opposte. Cunsolo dirà che Massimo, arrivato davanti al “posto di blocco”, accelera, quasi lo investe. Poi perde il controllo del ciclomotore e cade battendo la testa su un muretto a secco. I due ragazzi, interrogati la notte dell’“incidente” dal pm Sessa della Procura di Sala Consilina, hanno invece fornito un’altra versione: Cunsolo era dentro alla macchina, quando vede arrivare Massimo esce dall’auto e per fermarlo sferra un calcio sulla carena del motorino. E’ quel calcio che fa perdere l’equilibrio a Massimo che cade, e muore”.
La Corte di Potenza è dovuta ripartire da zero «ed è stato un bene – aveva detto a Popoff, Osvaldo Casalnuovo, alla vigilia dell’ultima udienza – anche il primo pm, nonostante avesse chiesto per iscritto di continuare a seguire il caso, è stato rimpiazzato dal procuratore capo di Potenza che però ha fatto sentire la sua voce solo in una requisitoria di dieci minuti per ridurre il capo di imputazione, “declassato” a omicidio colposo, e senza voler mai interrogare i testimoni».
In primo grado c’era stata un’assoluzione – il fatto non sussiste – ma con formula dubitativa. «Però le motivazioni erano così blande che la stessa procura di Salerno, oltre noi e il pm, ha impugnato quella sentenza. Il primo processo è stato un lampo», ricordava Osvaldo, cominciato e finito il 5 luglio 2013, non ha visto i testimoni e i consulenti tecnici deporre perché il giudice monocratico, senza mai motivare, ha rigettato tutte le richieste della parte civile. Quel giorno – poi non si sarebbe mai più visto in aula – il maresciallo imputato pronunciò le uniche due parole: «Sono innocente». In appello si sarebbe sempre avvalso della facoltà di non presentarsi.
«Il processo s’è svolto sulla base di niente, come se nel fascicolo non ci fossero atti. Invece ci sono e noi ci vogliamo attenere proprio a quei riscontri oggettivi: testimonianze, referti scientifici e consulenze tecniche – spiega Osvaldo che, quasi dal principio di questa vicenda è seguito dall’avvocato Cristiano Sandri, fratello di Gabriele, anche lui vittima in un caso di malapolizia – anche la procura di Salerno ha messo in risalto la presenza degli stessi dati oggettivi».
Subito dopo i fatti Cunsolo venne trasferito a Polla, a 40 km, con l’altro componente della pattuglia. Buonabitacolo non ha mai creduto alla versione ufficiale. Massimo lo conoscevano tutti. «Mai chiesto scusa – ha detto il padre del ragazzo ucciso – mai cercato un contatto con noi. Forse nemmeno l’avrei accettate perché non m’è sembrato mai di vedere in loro un segno di umiltà, nemmeno l’ammissione di aver svolto un posto di blocco secondo i protocolli».
“Tutto da rifare, quindi – commenta Ilaria Cucchi rivolgendosi a Osvaldo – provo ad immmaginare il tuo stato d’animo in questo momento e la sola cosa che posso dirti è che ti sono vicina e come me tanti altri. Per chi come noi ha deciso che valeva la pena non chiudersi nella rabbia e nell’odio ma ha provato a tramutare quell’odio e quella rabbia nel tentativo di rendere giustizia ai nostri cari, non solo per loro, ma per provare a rendere questa società migliore e meno ingiusta la strada è tutt’altro che semplice. Lo sapevamo. Sappi però che non siete soli». «Osvaldo so che non vi fermerete e noi con voi a chiedere giustizia per Massimo!», scrive anche Grazia Serra che, da anni, si batte per verità a giustizia sulla morte di suo zio, Franco Mastrogiovanni, ucciso in un letto di contenzione durante un Tso.

Federico Aldrovandi, non cancellerete la nostra memoria. Federico è ovunque

Il divieto di far entrare la bandiera con il volto di Federico Aldrovandi, imposto ai tifosi della Spal nella trasferta romana, è un fatto troppo grave; troppo grave per relegare la nostra rabbia solo ai post sui social, troppo grave da necessitare una risposta di tutti.
Federico fu ucciso nel settembre del 2005 a soli 18 anni. Fu ucciso da 4 poliziotti che gli spezzarono il cuore fino a soffocarlo, rompendogli addosso due manganelli fino a procurargli 54 lesioni. “Schegge impazzite” fu la definizione che diede un procuratore generale a quelle persone, prima della loro condanna definitiva in Cassazione.
Quello che ha subito Aldro è una verità storica, oltre che giudiziaria, incancellabile come lo furono i fatti vergognosi successivi alla sua morte: negli applausi dei sindacati di polizia agli agenti condannati, nelle offese alla madre, nelle querele alla madre, nelle dichiarazioni folli e disgustose di certi esponenti istituzionali che hanno negato per anni l’evidenza.
Il divieto imposto ai tifosi della Spal non ha alcuna giustificazione.
E’ un atto di prepotenza e arroganza. E’ un atto da Stato di Polizia.
Abbiamo deciso di non rassegnarci alla denuncia e al racconto: se non volevano Federico in una curva, Federico glielo faremo trovare ovunque.
A pochi giorni dai fatti di Vicenza, dove Luca, un ultrà della Sanbenedettese è finito in coma e tuttora è in ospedale, è necessario mandare un segnale forte contro la violenza e gli abusi di polizia di questi ultimi decenni, affinchè non vi siano mai più altri Federico.
ACAD L’Associazione Contro gli Abusi in Divisa invita tutta la collettività a partire dalle tifoserie e dalle curve, oltre la propria fede e oltre i colori, ad esporre ove sia possibile l’immagine di Federico Aldrovandi con striscioni, magliette, foto, bandiere e qualsiasi mezzo ognuno ritenga più opportuno e ad accompagnare, dove realizzabile, il tutto con l’hashtag #FedericoOvunque.
Chiediamo a chiunque di far apparire Federico in ogni luogo possibile delle nostre città, con la dignità e il rispetto che la famiglia Aldrovandi ci ha sempre insegnato.
Sabato 9 dicembre e domenica 10 dicembre facciamogli vedere che non abbiamo dimenticato quello che hanno fatto a Federico, mostrando Federico ovunque, com’era da vivo.
#FedericoOvunque
#giustiziaeveritàperAldrovandi
#bastaabusi

Per informazioni, comunicazioni, adesioni:
Mail: infoacad@inventati.org
Facebook: ACAD Associazione Contro gli Abusi in Divisa – Onlus
Telefono: 3348016641

Segue appello in altre lingue. Leggi tutto