ACAD

-Associazione Contro gli Abusi in Divisa – ONLUS –

La mattanza in Divisa contro la tifoseria dell’Atalanta

atalanta

In questo articolo, raccoglieremo tutte le testimonianze che ci stanno arrivando dopo i fatti accaduti a Firenze quando la partita di calcio di Coppa Italia era ormai finita, un evento sportivo in cui non sono MAI avvenuti incidenti tra le tifoserie opposte. Né prima, né durante, né dopo il match.
Come Acad, Associazione Contro gli Abusi in Divisa, cogliamo l’occasione per esprimere solidarietà, vicinanza e tutto il supporto necessario alle persone colpite dalla mattanza avvenuta mercoledi sera, dove i veri “teppisti” sono stati agenti in divisa come testimoniano le immagini qui sotto riportate.

Questo è quello che è successo la scorsa notte ai tifosi atalantini, di ritorno dalla partita di Coppa Italia giocata a Firenze: calci, pugni, manganellate, insulti.

https://www.facebook.com/poterealpopolo.org/videos/155185705396886/

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Cagliari, ragazzo di 32 anni muore durante un fermo

ATTENZIONE
Un ragazzo di 32 anni è morto a Cagliari durante un fermo di polizia quest’oggi all’alba.
Stiamo cercando di chiarire cosa sia successo attraverso i nostri contatti.
Chiunque avesse informazioni utili ci scriva ed anche chi potrebbe trovarne vivendo in loco.
E’ indispensabile agire in fretta in questi casi.
Fonte: www.sardiniapost.it/cronaca/muore-allalba-viale-santavendrace-inutili-soccorsi-dinamica-chiarire/

Seguiranno aggiornamenti

Aggiornamento ore 16:30
MATTIA SAU è il nome del ragazzo di 32 anni morto questa mattina tra le 5:30 e le 6:30 durante un fermo di polizia a Cagliari in viale sant’ Avendrace, il ragazzo è di Iglesias, Italy, cittadina vicina. Domani verrà effettuata l’ autopsia ed è assolutamente necessario aiutare la famiglia con la nomina di consulenti di parte fidati.
Chiunque abbia notizie della storia di Mattia ci contatti con la massima urgenza anche attraverso il numero verde 800588605.
Sono utili segnalazioni anche a Chi l’ha visto?
GRAZIE

01.12.2018
Aggiornamento ore 00.20

Una grossa rete di solidarietà si è mossa in tutta Italia per contattare la famiglia, per fare indagini, per organizzare il supporto legale, per andare sul posto.
Chi ha commesso tutto questo dormirà male stanotte sentendo il fiato sul collo di una solidarietà popolare organizzata e forte.
Rinnoviamo l’appello a contattarci per segnalare qualsiasi informazione sulla morte di Mattia.

Aggiornamento ore 13.40
Prosegue da stamattina l’autopsia sul corpo di Mattia Sau. L’esame è stato disposto dalla Procura di Cagliari per accertare le cause del decesso.

VLAD, il Primo Vademecum legale contro gli abusi in divisa

Riascolta La presentazione di Vlad, il vademecum legale contro gli abusi in divisa

il 15 Novembre 2018 al Nuovo Cinema Palazzo, a Roma, è stato presentato Vlad , a cura di Alterego – Fabbrica dei diritti e Acad – Associazione contro gli abusi in divisa
Il 15 Novembre 2018 vedrà la luce VLAD – Vademecum Legale contro gli Abusi in Divisa. Per presentarlo al pubblico romano (e non) Alterego – Fabbrica dei Diritti e ACAD – Associazione contro gli abusi in divisa apriranno le porte del Nuovo Cinema Palazzo, a San Lorenzo.
Un lavoro, il Vademecum, che da mesi stiamo portando avanti congiuntamente, diretto a tutte e tutti, che racconti dei diritti che ogni cittadino ha quando incontra le Forze di Pubblica Sicurezza e dei doveri che queste ultime DEVONO rispettare.
Il primo evento, quindi, di una lunga serie di presentazioni che faremo in tutta Italia. Un lavoro che nasce dal basso, dai racconti e dalle esperienze di tutti e che speriamo possa dare un piccolo contributo a tutte e tutti in un periodo storico sempre più cupo.
Riascolta la presentazione e le interviste su Radio Sonar

Gli altri Stefano Cucchi – I casi di abusi in divisa ancora aperti in Italia

Nell’anniversario della morte di Stefano Cucchi, ricordiamo i casi di cittadini morti durante un’azione delle forze dell’ordine o sotto la loro custodia.
In questi giorni l’attenzione è di nuovo puntata sugli abusi delle forze dell’ordine grazie a un caso emblematico, il caso Cucchi, al film che ne è stato tratto e alla svolta processuale data dalla confessione del carabiniere Tedesco, che ha indicato i colleghi Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro come gli autori del pestaggio. Una svolta che Fabio Anselmo, avvocato della famiglia Cucchi—ma anche delle famiglie Aldrovandi, Uva, Magherini—ha definito “eclatante”, perché offre una “testimonianza diretta di chi ha assistito ai fatti,” ma non solo: “riferisce anche dei condizionamenti e delle intimidazioni subite, e di tutto quello che è successo dopo.”
Gli abusi in divisa, in realtà, sono un argomento che torna ciclicamente nella sfera mediatica, spinto da un nuovo caso o dalla pubblicazione di un rapporto sul numero di suicidi e morti sospette nelle carceri. Ciò che manca sempre è la volontà, soprattutto istituzionale, di costruire una riflessione più ampia, che non solo unisca tra loro i vari casi, ma li riconosca come il frutto di politiche sbagliate e di una mentalità comune costruita ad hoc, basata in primo luogo sulla criminalizzazione.
“La criminalizzazione della vittima è una costante nei casi di malapolizia,” spiega Checchino Antonini, giornalista e attivista di ACAD (Associazione contro gli abusi in divisa). “Di questi casi si tende a parlare in termini emotivi, della pena che si prova per l’una o per l’altra parte. Si parla di onore o disonore dell’Arma, e non si indaga, per esempio, il legame con il proibizionismo o con il razzismo. Non si mette in discussione il tipo di addestramento ricevuto e non si parla del fatto che da tempo è in atto una forte criminalizzazione dei conflitti sociali. L’ossessione per il decoro e un’emergenza sicurezza che è tutto meno che un’emergenza (visto che i reati sono in continuo calo) portano a una vera e propria repressione di alcuni stili di vita.” Il migrante, il tossico, l’attivista dei centri sociali, il senzatetto, lo spacciatore diventano tutte categorie percepite come zavorre sociali (della serie “mi dispiace che sia morto MA”). Leggi tutto

Omicidio Uva, pg in Cassazione contro assoluzioni

Caso Uva, ricorso in Cassazione della procura di Milano contro l’assoluzione di sei poliziotti e due carabinieri
di Checchino Antonini su popoffquotidiano.it
La procura generale di Milano ha presentato ricorso in Cassazione contro la sentenza sugli otto imputati, sei agenti e due carabinieri, assolti in appello «perché il fatto non sussiste» dall’accusa di omicidio preterintenzionale e sequestro di persona aggravato per la morte di Giuseppe Uva, l’uomo deceduto il 14 giugno 2008 all’ospedale di Varese, dopo che era stato fermato e portato in caserma dagli uomini dell’Arma per accertamenti. Il sostituto procuratore generale di Milano Massimo Gaballo, il quale aveva chiesto condanne fino a 13 anni di carcere, ha impugnato la sentenza dello scorso maggio dei giudici della prima sezione, chiedendo di riascoltare quattro testimoni, tra cui Alberto Biggioggero, l’amico di Uva presente la sera del fermo da parte dei carabinieri. Oltre alla richiesta di rinnovare l’istruttoria, nei motivi di appello viene contestata l’assoluzione dal reato di sequestro di persona e di omicidio preterintenzionale.
Il pg chiede quindi che la Cassazione annulli la sentenza impugnata e rinvii a un’altra sezione della corte d’assise d’appello per un nuovo giudizio. La famiglia della vittima è da sempre convinta che il decesso sia stato provocato dalle percosse e dalle manganellate inflitte all’uomo dalle forze dell’ordine che lo tenevano in custodia. Per i giudici, invece, è legittima la condotta di carabinieri e poliziotti intervenuti nel tentativo di contenere Uva che, insieme all’amico, stava dando in escandescenze. Uva, per i giudici, morì a causa di una patologia cardiaca e per lo stress per essere stato fermato in stato di forte ebbrezza alcolica.

Ilaria Cucchi: «Perché Stefano fu spedito a Regina Coeli e non in ospedale?»

Cucchi bis, la testimonianza del medico del tribunale e degli agenti della penitenziaria: «Era evidente che lo avevano pestato»

«All’udienza di oggi, tra gli altri, ha reso deposizione il dottor Ferri che presta servizio nelle celle di sicurezza del Tribunale di Roma – scrive Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano – dopo aver parlato delle ecchimosi al volto di Stefano quando lo visitò dopo l’udienza di convalida del suo arresto ha descritto il suo dolore alla schiena e la sua difficoltà a camminare. Doveva appoggiarsi al muro per scaricare il peso divenuto insopportabile per la sua povera colonna vertebrale rotta in due punti. Ha parlato con l’espressione in volto apparentemente priva di qualsiasi emozione, quasi con un mezzo sorriso, non di compiacimento per il dolore di mio fratello ma per il proprio ruolo. Quando però il mio avvocato gli ha chiesto cosa avrebbe fatto se si fosse trattato di un suo paziente del suo ambulatorio privato lui ha risposto che “tra gli altri avrebbe ordinato accertamenti radiologici”. Ma Stefano Cucchi evidentemente non era un suo paziente perché lo ha mandato in carcere. Allora mi chiedo: ma cos’era per lui?».
Non si reggeva in piedi e camminava male. Era evidente che era stato pestato: uno dopo l’altro, nonostante alcuni “non ricordo”, anche i più recalcitranti fra i testi, hanno dovuto ammettere che le Cucchi era davvero malridotto dopo l’arresto, l’interrogatorio e una notte in guardina, ospite dei carabinieri. Cinque di loro sono sotto processo e tre devono rispondere dell’omicidio preterintenzionale di un ragazzo arrestato per droga. Sul banco dei testimoni sono salite nove persone, tutte già sentite nel precedente processo, quello che vedeva imputati sei medici, tre infermieri e tre agenti della Penitenziaria (infermieri e agenti poi assolti in via definitiva, mentre per i medici è in corso il terzo processo d’appello). In aula si è partiti dalla presenza di Cucchi nella caserma dei carabinieri di Tor Sapienza dopo l’arresto, quando le sue condizioni di salute consigliarono l’intervento di un’ambulanza. «Trovai Cucchi dentro una cella poco illuminata. Era disteso sul letto, rivolto verso il muro e coperto fino alla testa. Lo salutai, e mi rispose ‘Non ho bisogno di niente’», ha detto in aula l’infermiere Francesco Ponzo. «Lo vidi in viso per pochi secondi, aveva pupille normali e una ecchimosi nella zona zigomale destra. Gli dissi ‘Vieni con me, andiamo in ospedale. Se hai qualche tipo di problema, poi magari ne parliamo in separata sedè. Per la mia insistenza, lui si irritò. Alla fine risalimmo, prendemmo i dati e andammo via». È stato poi il medico del tribunale di Roma, Giovanni Battista Ferri, a sottolineare come Cucchi, nelle celle della città giudiziaria, «disse di avere dolori alla zona sacrale e agli arti inferiori. Camminava da solo, al massimo appoggiandosi con la mano al muro. Era leggermente curvo, scaricava parte del peso sul muro; chiese un farmaco che prendeva abitualmente. Secondo me le sue erano lesioni da evento traumatico, e dal dolore sembravano lesioni recenti, ma lui rifiutò di farsi visitare». E alla richiesta sul come si fosse procurato quel dolore, la risposta fu «che era caduto dalle scale il giorno precedente». La parte finale dell’udienza di oggi è stata dedicata all’esame degli agenti della Penitenziaria incaricati di portare i detenuti dal tribunale in carcere. «Vidi per la prima volta Cucchialle celle d’uscita. Non si reggeva in piedi, camminava male, in viso era parecchio rosso, aveva segni evidenti di occhiaie profonde – ha detto l’ispettore superiore Antonio La Rosa – Secondo me quel ragazzo aveva avuto qualche problema, secondo la mia esperienza aveva preso qualche schiaffo, qualche pugno. Era evidente che era stato pestato». E, dopo che il giovane chiese se in carcere ci fosse una palestra e disse che quei dolori erano stati causati da una scivolata dalle scale, un altro detenuto intervenne dicendo: ‘Ma quale caduta dalle scale, lui ha avuto un incontro di boxe? solo che lui era il sacco’«. Prima dell’inizio dell’udienza c’è stato un sit-in fuori del tribunale. Un centinaio di persone e diverse associazioni – tra cui il collettivo Sapienza clandestina, Alterego Fabbrica dei diritti e Acad – si sono trovati dietro allo striscione “Sappiamo chi è Stato, con Stefano nel cuore, con il sangue agli occhi”.

Ercole Olmi
Da popoffquotidiano.it/