ACAD

-Associazione Contro gli Abusi in Divisa – ONLUS –

L’Italia che tortura: ecco perché Acad va a Bruxelles

Troppi abusi di polizia, un codice penale su misura per lasciarli impuniti, l’inarrivabile legge sulla tortura. Le ragioni della delegazione di Acad a Bruxelles su invito dell’eurodeputata Eleonora Forenza
di Checchino Antonini popoffquotidiano.it

C’è un ragazzo di Teramo, Davide Rosci, che sta scontando dieci anni di galera perché l’hanno fotografato mentre rideva troppo vicino a un blindato dei carabinieri in fiamme, il 15 ottobre del 2011 a Piazza San Giovanni. C’è un carabiniere calabrese che non ha subìto nemmeno un processo per aver sparato a Carlo Giuliani a Genova nel 2001 sebbene un filmato spieghi molto di più delle foto che hanno “inchiodato” Rosci. C’è Rachid, un detenuto che ha registrato le minacce e i commenti agghiaccianti dei suoi carcerieri: da quattro anni migra da un carcere all’altro, ora è a Lucca, e sta subendo una decina di processi fotocopia per reati mai commessi ma puntualmente denunciati dalla polizia penitenziaria. Rachid registra e denuncia perché «non voglio fare la fine di Cucchi», ha spiegato in una delle Aule. C’è l’ex moglie di un carabiniere intercettata mentre rimprovera l’ex marito di essersi «divertito a pestare un drogato di merda». Si trattava di Stefano Cucchi e sua sorella Ilaria da sei anni si batte per un vero processo. Come Lucia, sorella di Giuseppe Uva, morto per le conseguenze dell’arresto. O come Domenica, figlia di Michele Ferrulli. Quattro poliziotti, invece, sono ancora in servizio nelle questure del Nordest (al pari dei loro colleghi reduci dalla Diaz e da Bolzaneto), sebbene tre processi li abbiano definitivamente condannati per l’omicidio di Federico Aldrovandi. Condanna lieve, tre anni e mezzo, poche settimane scontate. Per le commissioni disciplinari il fatto non comporta disonore alla divisa. Anzi, i quattro vengono trattati da eroi nei raduni sindacali di Sap e Coisp.
Il comando generale dei carabinieri, invece, ha appena annullato, con una circolare inspiegabile, l’indicazione di evitare qualsiasi forma di compressione toracica di un soggetto arrestato. Eppure Riccardo Magherini, Aldro, Riccardo Rasman e Michele Ferrulli sono morti proprio in quella posizione, i primi per asfissia posturale, l’ultimo per attacco ipertensivo, non gli ha retto il cuore.
Da sempre, in Italia, le scale e le finestre più pericolose sono quelle delle questure e delle carceri e processare un uomo con la divisa è difficile come processare uno stupratore o un mafioso – ha avvertito il pm del caso Diaz, Enrico Zucca – perché scattano meccanismi di criminalizzazione delle vittime e di omertà travestita da “spirito di corpo”. Anche Fabio Anselmo – legale di Rachid Assaragh, delle famiglie Magherini, Cucchi, Budroni, Bifolco – punta spesso l’indice contro la «vittimizzazione secondaria, la colpevolizzazione della vittima: c’è una direttiva europea del 2012 che prova a ridurne i rischi». Ma in Italia non sembra essere sbarcata. Cucchi è sempre un drogato di merda, Bifolco (incensurato, ucciso a Napoli mentre guidava un motorino da un carabiniere che è “inciampato”) un camorrista, Dino Budroni uno stalker, Ferrulli un beone e Magherini un pazzo intossicato dalla cocaina. Purché non si metta in discussione la rispettabilità delle forze dell’ordine, la qualità del loro addestramento, la loro fedeltà alla Costituzione. «In quasi tutte queste storie, gli imputati in divisa sono stati oggetto delle indagini compiute dai loro stessi colleghi», dice ancora Anselmo chiedendosi «chi controlla i controllori?». La norma sull’uso legittimo della forza sottrae moltissimi autori di violenze dalla possibilità dell’incriminazione. Eventuali reati sono quasi sempre colposi.
«Possiamo parlare di “anomalia italiana” che ci fa vivere in uno stato d’eccezione non dichiarato – spiega Eleonora Forenza, giovanissima manifestante no global quindici anni fa e ora deputata europea per l’Altra Europa – un codice penale costruito su misura per criminalizzare il dissenso (una vetrina vale più di una vita umana) ha prodotto una montagna di diciottomila persone sotto processo per reati legati al conflitto sociale. L’ignavia dei governi degli ultimi trent’anni ha impedito che fosse varato un reato di tortura imprescrittibile e specifico dei pubblici ufficiali. E le lobby delle forze dell’ordine hanno bloccato che l’introduzione di un codice alfanumerico consentisse a un magistrato di identificare gli agenti travisati in ordine pubblico». L’anomalia italiana è anche il titolo di un dossier che Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa, presenterà a Bruxelles il 15 febbraio in un’audizione promossa dalla stessa Forenza, impegnata nella realizzazione di un Libro bianco sulla repressione in Europa, che vedrà protagonisti alcuni familiari di vittime di malapolizia, i loro legali e gli attivisti italiani che, subito dopo l’audizione, incontreranno attivisti belgi nella sede del Colectivo Garcia Lorca aperto negli anni ’30 dagli esuli spagnoli in fuga dal franchismo. «C’è uno scenario europeo in forte evoluzione, vedi lo stato d’eccezione francese – avverte Luca Blasi, uno degli attivisti di Acad – che si intreccia con l’anomalia italiana che è tale per il dato quantitativo degli abusi e per quello qualitativo: pm che non fanno indagini, reati cuciti su misura, assenza di provvedimenti disciplinari, retorica delle marce, abuso dei Tso e degrado delle carceri».
Il numero verde di Acad, per la segnalazione delle emergenze, squilla almeno una decina di volte ogni settimana. Gli attivisti seguono le udienze dei processi, negli Acadpoint vengono raccolte altre denunce, si tengono i contatti con i legali, si dà vita a dibattiti sugli abusi in divisa. Un lavoro di due anni che eredita il know how di altre esperienze, con cui Acad lavora spesso gomito a gomito, da Antigone ad Amnesty, dai Giuristi democratici all’Osservatorio Repressione.

Omicidio Ferrulli, chiesti 7 anni e 8 mesi per due agenti

Milano, l’accusa chiede la condanna per omicidio preterintenzionale per due dei quattro agenti protagonisti del violento arresto di Michele Ferrulli. Per gli altri c’è l’omicidio colposo. In primo grado tutti furono assolti
di Checchino Antonini popoffquotidiano.it

Il sostituto pg di Milano Tiziano Masini ha chiesto la condanna per omicidio preterintenzionale e falso per due poliziotti a 7 anni e 8 mesi di carcere per la morte di Michele Ferrulli, il manovale di 51 anni che il 30 giugno 2011 morì a Milano per un arresto cardiaco mentre quattro poliziotti lo stavano ammanettando. Per gli altri due agenti ha chiesto condanne a 18 e 16 mesi con la derubricazione in omicidio colposo per eccesso colposo. In primo grado, i quattro erano stati tutti assolti. La requisitoria, secondo l’avvocato Fabio Ambrosetti, è stata puntuale e coraggiosa: «Ha restituito la dignità a Michele Ferrulli», ha detto a Popoff il legale della famiglia.
In particolare, il sostituto pg ha chiesto 7 anni e 8 mesi per Francesco Ercoli e Michele Lucchetti per omicidio preterintenzionale, andando oltre anche ai 7 anni chiesti in primo grado dal pm Gaetano Ruta nel processo poi conclusosi con il colpo di spugna nel luglio 2014. Per il pg, infatti, non si deve applicare la continuazione dei reati tra l’omicidio e l’accusa di falso ideologico contestata ai 4 agenti per quanto riportato nelle loro relazioni di servizio su quella sera. Per Ercoli e Lucchetti, tra l’altro, il pg ha anche chiesto ai giudici che in subordine, se non verrà riconosciuto l’omicidio preterintenzionale, vengano condannati per omicidio colposo con eccesso colposo nell’uso dei mezzi di coazione fisica a 1 anno e 10 mesi (Ercoli) e a 1 anno e 8 mesi (Lucchetti). Gli altri due poliziotti, Roberto Stefano Piva e Sebastiano Cannizzo, vanno condannati, invece, secondo il pg, per omicidio colposo con eccesso colposo rispettivamente a 16 e 18 mesi con la sospensione della pena. Il pg ha anche chiesto di riconoscere a tutti gli imputati le attenuanti generiche perché incensurati. Più tardi parleranno i legali dei familiari di Ferrulli, parti civili, gli avvocati Ambrosetti, Carlo Federico Grosso e Valentina Finamore, e i giudici della Corte d’Assise d’appello (presieduta da Sergio Silocchi) fisseranno un’altra data per l’intervento dei difensori.
Michele Ferrulli, 51 anni, originario di Bari ma viveva a Milano dove lavorava come operaio edile. Michele con la sua famiglia occupava un alloggio in via del Turchino. Una persona mite e generosa, secondo chi lo conosceva bene, impegnato a combattere a favore degli occupanti di case nel suo quartiere. La sua vita si spezza la sera del 30 giugno in via Varsavia. Un residente segnala alla polizia la presenza di diverse persone che, per strada, ascoltano musica ad alto volume, orinano sulla saracinesca di un bar e si abbandonano a urla e schiamazzi. Il gruppetto è composto da Michele e da due suoi amici. Intervengono due volanti.Al loro arrivo gli agenti dichiarano di aver chiesto i documenti ma di essere stati subito insultati da Michele che li minaccia e tanta di aggredirli. I poliziotti rispondono con la forza e lo immobilizzano a terra per ammanettarlo, operazione che è durata diversi minuti, forse troppi per il cuore di Michele Ferrulli. La questura dichiara la morte per infarto.Le testimonianze dei due amici e di altre persone presenti parlano, però, di un pestaggio da parte dei quattro agenti. Alcuni dicono che Michele veniva selvaggiamente picchiato mentre gridava ripetutamente aiuto. Una circostanza confermata da video in cui si sentono le urla e le invocazioni di aiuto di Ferrulli, i commenti in sottofondo, di chi in quel momento stava girando le immagini e si possono nitidamente vedere i colpi di manganello e i pugni.

AGGIORNAMENTI PROCESSO MASTROGIOVANNI

[articolo di Grazia Serra]
Si è svolta oggi una nuova udienza del processo d’appello per il decesso di Francesco Mastrogiovanni.
Le arringhe oggi di quattro avvocati della difesa.
Il primo a prendere la parola è stato l’avvocato Torrusio, difensore degli infermieri De Vita e Cortazzo. Il legale ha sottolineato, in difesa dei propri assistiti, che al momento della coercizione i medici erano sempre presenti in reparto. “Non capita mai che gli infermieri applichino le fascette di contenzione di loro iniziativa”. Il legale ha parlato di uno stato di agitazione evidente del paziente al momento dell’ingresso in reparto e anche successivamente, per giustificare l’applicazione delle fasce di contenzione.
Il paziente sarebbe stato contenuto anche per evitare cadute dal letto, in quanto i farmaci, che gli erano stati somministrati, causavano uno stato di semi-coscienza. “Se Mastrogiovanni non fosse stato contenuto sarebbe caduto dal letto”. Quindi, si ribadisce l’applicazione di una contenzione precauzionale, non ammessa però, dalla Legge. “L’uso della contenzione era uno strumento coadiuvante alla terapia farmacologica somministrata al paziente”. Secondo l’avvocato Torrusio, la contenzione applicata al paziente era un modo per proteggerlo. “In quel reparto era sempre stata utilizzata, anche nei precedenti ricoveri del Mastrogiovanni”. Non c’è un’anomalia, secondo l’avvocato, nel momento in cui il medico ordina agli infermieri l’applicazione delle fascette di contenzione. “È un ordine che loro ritengono consono alla salute del paziente, indipendentemente dall’essere legittimo l’ordine o illegittimo, loro agiscono perché nel loro bagaglio di esperienza quel sistema protegge la salute del Mastrogiovanni” aggiunge l’avvocato Torrusio.
L’avvocato Avallone, difensore dell’infermiere Tardio, denuncia il processo mediatico, come sostenuto nella precedente udienza anche dall’avvocato Bellucci, e sostiene di esserne stato una delle principali vittime avendo ricevuto “accuse da parte di certi personaggetti”. Critica anche il ruolo dell’ASL che si è costituita parte civile contro medici e infermieri.
L’udienza è stata trasmessa in diretta da Radio Radicale. È possibile riascoltarla al seguente indirizzo http://www.radioradicale.it/…/processo-michele-di-genio-alt…
Le prossime udienze saranno il: 18 settembre, 27 ottobre, 3 e 6 novembre. Erano presenti, oggi in aula, al fianco della famiglia Mastrogiovanni e del “Comitato Verità e Giustizia per Franco Mastrogiovanni” rappresentanti di Acad, Associazione contro gli abusi in divisa. Presenti anche Gianfranco Malzone, fratello di Massimiliano, deceduto lo scorso 8 giugno nel reparto psichiatrico di Sant’Arsenio e Osvaldo Casalnuovo, papà di Massimo. Il processo d’appello per il decesso di Massimo Casalnuovo riprenderà domani presso il Tribunale di Potenza alle ore 9.