ACAD

-Associazione Contro gli Abusi in Divisa – ONLUS –

Il decreto Minniti dilata l’area degli abusi in divisa

Il Decreto Minniti-Orlando sulla Sicurezza Urbana è stato convertito in legge dal Parlamento.
Di fatto, il nuovo Ministro degli Interni, l’uomo forte del governo Gentiloni, sferra un attacco violentissimo e frontale alle libertà e ai diritti dell’intero corpo sociale, iniziando col privare i migranti delle garanzie minime del giusto processo (abolizione dei gradi di giudizio, del principio del contraddittorio, creazione di giurisdizioni speciali) continuando poi ad attaccare le fasce più disagiate della cittadinanza attraverso l’introduzione di dispositivi amministrativi pienamente sanzionatori – che sapientemente coordinati con quelli già da tempo esistenti nell’ordinamento come il Testo Unico Leggi di Polizia e le Misure di Prevenzione – restringono ulteriormente gli spazi già angusti delle libertà costituzionalmente garantite in questo paese.

CITTA’ COME CURVE DEGLI STADI
Col decreto Minniti, dopo anni di allenamento nella palestra della repressione che nel tempo hanno rappresentato le curve degli stadi, il DASPO fa il suo ingresso a gamba tesa nel centro delle città da cui i soggetti già marginali, oggi “indecorosi”, potranno essere allontanati per ordine del Sindaco attraverso decisioni amministrative sottratti, se non in casi limitati, al controllo di legittimità dell’autorità giudiziaria e dall’esercizio del diritto di difesa, dunque del tutto discrezionali e dalla forte connotazione arbitraria.
Una libertà fondamentale e costituzionalmente garantita, la libertà di movimento, sarà dunque a totale appannaggio del potere incontrollato dell’organo amministrativo che a fronte di una crescente richiesta di diritti socialie e welfare, in un contesto di crisi economica strutturale, sarà invece legittimato a rispondere con la forza di un provvedimento temporaneo che è già sanzione e che contribuisce non poco a distorcere la natura politica dell’organo in funzione sempre più marcatamente repressiva.
Senzatetto, prostitute, alcolisti, mendicanti; gli stili di vita o lo sfruttamento rappresenteranno al tempo stesso il sintomo e la prova della colpevolezza, in un meccanismo punitivo dove non è più neanche richiesta la commissione di un fatto di reato; per la condanna all’esilio dal centro della città o dalle altre zone urban e individuate come strategiche basterà offrire una brutta impressione di sé incompatibile con l’estetica del contesto, del “decoro urbano” la cui elevazione normativa a bene giuridico da difendere e tutelare rende sufficiente un’impressione sgradevole per legittimare l’allontanamento coattivo.

LA LOGICA DEL NEMICO INTERNO
Grazie al decreto Minniti, la retorica del diverso, dell’emarginato, del soggetto che in fondo non si è impegnato abbastanza o che se l’è andata a cercare, è la stessa che in questi anni è servita a giustificare e/o occultare i numerosi episodi di abusi e violenze perpetuati ai danni dei cittadini finiti nelle mani dello Stato.
Stefano Cucchi era un tossicodipendente, Federico Aldrovandi un ubriaco violento, Francesco Mastrogiovanni un sovversivo e così via; un’operazione di criminalizzazione utile al doppio obbiettivo di annientare le istanze di verità e giustizia provenienti dai familiari delle vittime degli abusi di stato ed alimentare la paura verso un nemico tutto interno per il quale non valgono le stesse regole e garanzie che esistono a favore degli altri cittadini “perbene”; un ghetto normativo dove la sospensione dello stato di diritto è giustificata in partenza.
Nella prassi nessuno dei dispositivi previsti dal decreto Minniti sulla sicurezza urbana, è nuovo all’armamentario repressivo già contenuto nell’ordinamento amministrativo e giudiziario italiano.
Anche l’emendamento sull’allargamento dell’istituto dell’arresto in flagranza differita ai reati compiuti “in presenza di più persone o in occasioni pubbliche” non è stato inventato per l’occasione. Anzi, anche in questo caso il prestito proviene dal mondo del calcio, dove era già prevista la facoltà di procedere all’arresto – con successivo obbligatorio giudizio direttissimo – nelle 48 ore successive ai fatti se dal materiale fotografico o videoregistrato raccolto fosse stato possibile procedere rapidamente all’identificazione dei responsabili di reati compiuti con violenza contro cose o persone.
La logica che, nel decreto Minniti, sottende l’arresto in flagranza di reato è quella di interrompere un comportamento a fronte della sua pericolosità immediata e contemporanea ad una condizione di necessità ed urgenza che legittima la privazione della libertà (o tutt’alpiù quella di inseguire chi appaia l’autore di un crimine per recarne su di sè le tracce, c.d.quasi flagranza).
Quale sarebbe la logica che accompagna l’arresto in flagranza differita se la pericolosità del gesto si è completamente esaurita?
Cosa dovrebbe interrompere l’intervento delle Forze dell’Ordine a distanza di due giorni dai presunti fatti di reato? – presunti sotto il profilo sia della corretta identificazione dei sospettati attraverso la frettolosa visione di materiale foto/video, sia dell’esatto inquadramento giuridico dei comportamenti che in così poco tempo sarebbero per comodità elevati a quello più grave, a fronte della necessità di giustificare l’utilizzo di uno strumento immediatamente privativo della libertà.

INTIMIDAZIONE DEL DISSENSO
Anche su questo punto il Decreto Minniti non cela l’intenzione marcatamente intimidatoria del dissenso, attraverso l’estensione alla piazza di uno strumento investigativo parziale e decontestualizzato da un lato e il rispolvero di vecchi arnesi repressivi mai espunti dall’ordinamento.
I fogli di via piovuti a pioggia su tantissimi attivisti politici nelle ultime settimanene sono il plastico esempio. Le misure di prevenzione utilizzate in occasione del vertice UE a Roma lo scorso 25 Marzo, rappresentano ancora oggi un unicum tutto italiano, un complesso articolato di provvedimenti e sanzioni che conferiscono al Questore prima e all’autorità giudiziaria poi la possibilità di privare della libertà gli individui sulla base dei soli elementi difatto (non prove e neanche indizi, ma caratteristiche sintomatiche come felpe con cappuccio e sciarpe), comminate a prescindere dalla commissione di reati.
Anche in questo caso saranno l’estetica o la provenienza ideologica a suggerire la c.d. pericolosità sociale, categoria tanto ampia e indeterminata da contenere ogni forma di diversità e opposizione sociale e consentire per questo discrezionalità e abusi.
La conversione definitiva dei decreti Migranti e Sicurezza Urbana accompagnata dall’utilizzo massivo di misure di polizia rende palese la volontà politica di criminalizzare le crescenti istanze di giustizia sociale contribuendo non poco ad alimentare quel sentimento di impunità e strapotere che da sempre caratterizza l’azione degli organi di Polizia di questo paese.

AGENTI ANCORA SENZA NUMERO IDENTIFICATIVO
Non è un caso che dalla legge di conversione del decreto Minniti sia stato espunto l’emendamento che avrebbe potuto introdurre il numero identificativo di reparto per le F.O. impegnate nell’ordine pubblico, né appare casuale la galvanizzazione di cui gli stessi agenti sembrano protagonisti da quando il ministro Minniti ha preso funzioni.
Si batte di nuovo col manganello sugli scudi, si inseguono manifestanti per le strade a forza di idranti, scompare pian piano la funzione di mediazione dei funzionari investigativi a tutto vantaggio delle c.d. cariche di alleggerimento dei reparti celere (ennesimo ossimoro a detrimento della corretta definizione dei comportamenti di Polizia dove ogni abuso equivale a un eccesso colposo e mai a una volontà preordinata e cosciente di infliggere lesioni).
Così, mentre alcune delle vittime delle violenze a Bolzaneto e alla Diaz patteggiano per sfinimento, mentre i familiari delle vittime di abusi in divisa lottano nei tribunali perché la verità venga fuori, mentre l’Europa commina ancora sanzioni per la mancata introduzione del reato di tortura, altri due provvedimenti legislativi aggiungono ostacoli al cammino da fare.

i legali di Acad

15 marzo giornata internazionale contro la brutalità e gli abusi di polizia

In alcuni paesi del mondo, Canada, Belgio, Svizzera, il 15 marzo è, da ventuno anni la giornata internazionale contro la brutalità e gli abusi di polizia. Un’occasione di mobilitazione e sensibilizzazione della società sulla repressione, i suoi metodi e la funzione che ha nella disciplina dei corpi di donne, uomini e dei movimenti sociali nella crisi del liberismo, sul fronte interno della guerra globale. Il 18 marzo anche la Francia scenderà in piazza contro gli effetti perversi dell’Etat d’urgence, lo stato d’eccezione, con settori di società civile indignati dopo lo stupro di un ragazzo delle banlieue da parte di un branco di agenti. Un gesto, l’ennesimo, di una lunga tradizione di violenze, immortalato dalle telecamere, che ha scosso ulteriormente un paese segnato dall’innalzamento della tensione fra polizie e settori popolari dopo le norme liberticide imposte dall’equivalente francese del Pd, il partito socialista di Hollande.
Ufficialmente, le misure da stato d’eccezione vengono spacciate come misure di prevenzione del terrorismo, nei fatti ogni legislazione d’emergenza è destinata a ritorcersi contro stili di vita e movimenti antagonisti, contro i settori più poveri della società, contro ogni intralcio alla libera circolazione delle merci.
Il panorama mondiale è quello di un’emergenza permanente e la violenza della polizia è uno degli attori principali sulla scena. Dagli Stati Uniti dove non si arresta la mattanza di proletari neri da parte di poliziotti bianchi alla Spagna della ley Mordaza, dalla Francia dell’etat d’urgence fino alla Turchia di Erdogan con la sua guerra sporca contro il popolo curdo e all’Egitto di al Sisi o la Russia di Putin. E, naturalmente, l’Italia di Gentiloni e Minniti, dove il pacchetto migranti si somma alla ripresa della repressione politica in grande stile, come accaduto a Napoli sabato scorso, e all’insipienza dei governi che si succedono nell’ostinazione a non produrre una vera legge sulla tortura.
I lobbisti delle polizie, sindacatini e sindacatoni che applaudono ogni abuso e i rispettivi autori come eroi, personalità spregiudicate e di discutibile reputazione come Salvini e Giovanardi, vedono come fumo negli occhi ogni tentativo di regolamentare l’agire del personale in ordine pubblico e nelle strade e ogni tentativo di formazione dei corpi di polizia e militari in linea col dettato costituzionale e con i principi universali dei diritti dell’uomo.
Razzismo, percosse, tortura sono tratti permanenti del paesaggio metropolitano ad ogni latitudine: la violenza di polizia e la militarizzazione dei territori sono elementi di sistema funzionali all’ordine neoliberista che ha bisogno della creazione di un nemico interno per trasformare ogni fermento in problema di ordine pubblico, per depistare un’opinione pubblica disorientata dalla crisi e dirottarla su un ordine del discorso sicuritario e patriottico.
Perché lo stato d’emergenza è semplicemente lo stato capitalista, quello che nega i diritti a tutti meno alle merci.
Oggi è la giornata internazionale contro gli abusi di Polizia. E’ la giornata che dà senso alla nostra esistenza e spiega contro cosa ci troviamo a combattere ogni giorno.
Sostenendo le manifestazioni di oggi a Bruxelles, Montrèal, Parigi e Berlino, denunciamo pubblicamente le brutalità a cui la polizia di tutto il mondo sottopone i cittadini che dovrebbe proteggere e tutelare, siano essi innocenti o colpevoli di qualche reato.
Come Acad, ci uniamo a questa protesta con la speranza che presto anche qui in Italia si possa organizzare una grande manifestazione in questo 15 Marzo di lotta internazionale, e con la certezza che grazie alla lotta quotidiana e collettiva tutti questi abusi cesseranno di essere commessi.
Perchè non accada mai più.
ACAD

Solidarietà a Andrea, colpito da Daspo per “antifascismo”

Sono assurde le accuse mosse ad Andrea. aver partecipato ad una manifestazione antifascista contro il raduno razzista di Forza Nuova che è avvenuto a Genova (città medaglia d’ora per la resistenza) lo scorso 11 febbraio.
La diffida colpisce chi ha la colpa di aver partecipato a una giornate di mobilitazione sociale antifascista e antirazzista.
Secondo una logica assurda, Andrea dovrà scontare un allontanamento per cinque anni da ogni evento sportivo in quanto considerato “pericoloso” dalla questura.
Fino ad oggi il Daspo aveva la funzione di limitare la libertà dei tifosi e reprimere i gruppi organizzati costringendo centinaia di ultras e non solo a dover firmare il giorno della partita e a non stazionare nei pressi dello stadio. Il tentativo che la questura vuole dimostrare con questi nuovi Daspo urbano (che sono previsti anche nel famigerato pacchetto sicurezza di Minniti, in discussione in parlamento) rappresenta una nuova gravissima violazione della libertà di tutti i cittadini. Infatti quello che viene contestato è un evento che si è svolto totalmente al di fuori da ogni situazione sportiva.
Al di sopra di ogni considerazione di una cosa siamo certi: questo provvedimento non è un fatto sporadico né semplicemente legale. È un tentativo studiato a tavolino per provare a intimidire chi lotta ogni giorno allo stadio, nei quartieri, nelle scuole e sui posti di lavoro contro ogni divieto ed ingiustizia, aprendo così un grave processo repressivo che ha già visto una forte accelerata negli ultimi anni riguardo alle restrizioni per gli ultras di tutta Italia.
Allora questo nuovo tipo di Daspo potrebbe essere utilizzato in futuro a discrezione della questura per qualsiasi comportamento accusato di “turbare l’ordine pubblico”: dal picchetto antisfratto, all’allaccio abusivo alla rete idraulica, dal rubare un pezzo di formaggio al supermercato al fumarsi uno spinello o restare coinvolto in una rissa in discoteca.
Ogni situazione considerata deviante potrà essere motivo di allontanamento dalle manifestazioni sportive. Si può parlare allora di abuso di potere da parte della polizia che vuole privare di una passione pur di farla pagare a chi “non si comporta bene” privando della libertà di andare a vedere una partita di calcio o di rugby o la partita del proprio figlio.
Questa misura ha lo scopo di intimidire e minacciare non solo le persone colpite direttamente, bensì di far passare la logica delle leggi speciali nei confronti di tutti quelli che non si omologano. Una privazione della libertà inaccettabile che dovrà essere respinta già dai prossimi giorni con mobilitazioni, proteste e ricorsi in ogni sede legale preposta. Un abuso contro gli stili di vita, oltre che contro l’antirazzismo, proprio come quelli che hanno ucciso, fra l’altro Federico Aldrovandi, Giuseppe Uva, Michele Ferrulli, Massimo Casalnuovo, Stefano Cucchi. Oppure come quello che ha prodotto il sequestro di centinaia di manifestanti che il 25 marzo scendevano a Roma per contestare le celebrazioni dell’Europa liberista, così come provava Carlo Giuliani a manifestare proprio a Genova contro il G8 o, infine, come gli abusi seriali e sempre archiviati, compiuti dall’occupazione militare della Val Susa contro le popolazioni locali e il Movimento No Tav. La sperimentazione avviata negli stadi è conclusa da un pezzo: la repressione degli stili di vita, di presunte devianze e del dissenso sociale sta dilagando.

Osservatorio Repressione
Acad – Associazione contro gli abusi in divisa

Riccardo Vive

QUEL 3 MARZO DI TORTURA, LA TUA VITA SPEZZATA, UNA FERITA INDELEBILE, IL TUO RICORDO NELLA NOSTRA LOTTA! RICCARDO VIVE!
Esattamente tre anni fa, in Borgo San Frediano, nel cuore di Firenze, ad un uomo di 39 anni veniva strappata via la vita da 4 divise.
Questa per Firenze e’ una giornata di ricordo e di memoria.
Tre anni fa iniziava quel lungo percorso che ci ha visto uniti nell’obiettivo comune di smascherare le coperture e le mistificazioni architettate per coprire le motivazioni che quella notte hanno portato alla morte di Riccardo Magherini.
Un padre, un figlio, un fratello, un amico, smetteva di respirare schiacciato sull’asfalto, soffocato, preso a calci, torturato e ignorato nelle sue disperate richieste di aiuto.
Riccardo su quell’asfalto perde tutta una vita ancora da vivere e lascia un enorme vuoto.
Da subito la macchina dello Stato si muove all’ unisono per autoassolversi: Riky diventa il mostro drogato, iniziano i depistaggi, le bugie, gli insabbiamenti, un copione già visto già tante, troppe volte. Un vero e proprio “modus operandi” che in maniera drammaticamente ripetitiva entra in gioco ogni qual volta un cittadino muore tra le mani di chi invece dovrebbe proteggerlo.
Dopo mesi e mesi di estenuante processo si è arrivati a delle condanne ridicole, espressione chiara di una omertosa “macchina” di controllo sociale e repressione che ha potere di autoassolversi ogni qual volta si renda necessario.
Certi dell’importanza della solidarietà e dell’unione nelle battaglie difficili oggi saremo in quelle strade per ricordare riccardo e perchè Verità e Giustizia, quelle vere, si costruiscono fuori dalle aule dei tribunali, senza dimenticare, informando, coinvolgendo e partecipando alla costruzione di una giustizia popolare.
Purtroppo questo striscione di 30 metri è stato visibile a Firenze solo per 30 minuti in quanto la DIGOS si è attivata subito per elimenarlo.
Grazie all’ intervento di Guido, Andrea, gli amici di Riky e l’ avv. Anselmo è stato possibile evitare un ingiusto sequestro dello striscione.
La VERITÀ non potete più nasconderla dietro ad un colpevole dito.
BASTA ABUSI IN DIVISA!
MAI PIù!
RICCARDO VIVE!
ACAD

Genova, migrante già ferito e in manette. Pestato dai carabinieri?

La denuncia al numero verde di Acad. L’uomo sarebbe stato pestato mentre già era immobilizzato e ammanettato. Con le manette è stato caricato in ambulanza e portato a Marassi
di Ercole Olmi

Si sentiva urlare di dolore l’altra notte a Genova, fino ai piani alti dei palazzi di fronte alla Stazione Marittima, nonostante Piazza Dinegro sia sempre squarciata dal rumore del traffico genovese. Era mezzanotte e due persone si sono affacciate per capire chi fosse così straziato da implorare di smetterla di fargli male. Dalla finestra si vedevano due uomini, dietro al furgone bianco nella foto, alle prese con una terza ormai a terra. I due infierivano. Sembrava una rissa tra balordi ma poi i testimoni hanno capito che si trattava di due carabinieri. A terra, l’uomo destinatario della gragnuola di pugni e calci, era ammanettato! I due chiamano il numero verde di Acad e raccontano inorriditi che, anche mentre si attendeva l’intervento dell’ambulanza, uno dei due carabinieri, a turno, si staccava dal gruppo di uomini in divisa per andare a somministrare un altro calcio o assestare un altro pugno al malcapitato. Sul luogo, infatti, erano accorse altre due auto: una di polizia, l’altra di vigili. Ammanettato, l’uomo ferito è stato caricato sull’ambulanza e forse trasportato direttamente al carcere di Marassi. Era la notte del primo agosto. Quando i testimoni scendono in strada non possono fare altro che fotografare le pozze di sangue sull’asfalto e formulare il numero verde dell’associazione contro gli abusi in divisa.
Il mattinale dei carabinieri, il giorno appresso, comunicherà l’arresto per “resistenza a Pubblico ufficiale” (succede spesso che un pestato si veda comminare una simile accusa) e la denuncia per “ lesioni personali aggravate e violazione di domicilio” di un cittadino marocchino di 35 anni, senza fissa dimora e pregiudicato. Verso le ore 20.30, i militari sono intervenuti su richiesta del personale sanitario dell’ospedale “Galliera”, in quanto il 35enne straniero si era presentato con una ferita da taglio ad un braccio, poi giudicata guaribile in 10 giorni, dando anche in escandescenze. Nel frattempo, durante la medicazione, all’interno della apposita sala, con mossa fulminea, l’uomo era riuscito ad allontanarsi facendo perdere le proprie tracce. Il fuggitivo, in via Aspromonte, ha poi aggredito un 76 enne genovese, mentre stava rincasando, allo scopo di nascondersi nel giardino e sottrarsi dalle ricerche dei militari. L’anziano ha riportato lesioni guaribili in 30 giorni. L’uomo è stato poi rintracciato e bloccato in piazza Dinegro, dopo un lungo inseguimento a piedi, al termine del quale ha strattonato un carabiniere nel vano tentato di divincolarsi. L’arrestato è stato associato al carcere di Marassi. Dunque, se stiamo descrivendo lo stesso episodio, l’uomo era già ferito a un braccio prima di essere sottoposto al trattamento quantomeno “energico” dei due militari. Un arresto, probabilmente legittimo, tramutato in un pestaggio illegittimo. Tanto la vittima è un migrante senza dimora. Chissà se al Garante dei detenuti della Liguria viene voglia di vederci chiaro. Acad sta tentando un accertamento.

Da popoffquotidiano.it

Comunicato sulla Sentenza per la morte di Riccardo Magherini

E’ stato riconosciuto un omicidio, questo è il punto di partenza dopo il processo di primo grado.
Tra lacrime liberatorie e di rabbia, dopo oltre un anno e mezzo di udienze, dopo menzogne e inganni, dopo insabbiamenti e dimenticanze, dopo il fango gettato su Riccardo e la sua famiglia, dopo intimidazioni e coperture: lo Stato italiano riconosce, con una leggerezza imbarazzante data da pene ridicole, che Riccardo Magherini non è morto da solo.
Le condanne sono risibili: 7 mesi e 8 mesi con sospensione della pena che garantirà loro neanche un giorno di galera, 7-8 mesi che allo Stato italiano evidentemente bastano per riconoscere un omicidio quando a commetterlo sono le forze dell’ordine.
Dopo poco più di mezz’ora di camera di consiglio la giudice Bilosi pronuncia la sentenza per la morte di Riccardo:
dichiara COLPEVOLI Della Porta, Castellano e Corni, in quanto responsabili del reato di omicidio colposo, in cooperazione colposa, “per aver concorso a determinare la morte di Riccardo Magherini avvenuta il 3 marzo 2014 per arresto cardiorespiratorio per intossicazione acuta da cocaina associata ad un meccanismo asfittico”.
E CONDANNA, CON IL BENEFICIO DI SOSPENSIONE CONDIZIONALE DELLA PENA, Della Porta e Castellano a 7 mesi di reclusione, Corni a 8 mesi.
Lo stesso Corni è stato assolto dall’ accusa di percosse per difetto di querela (in quanto nell’assurdità del nostro codice penale, solamente Riccardo avrebbe potuto denunciare le percosse, non parti terze come in questo caso i familiari e ACAD).
Ascenzi addirittura assolto per non aver commesso il fatto.
Fortunatamente assolte le due volontarie della CRI, Matta e Mitrea.
Condanna inoltre Della Porta, Castellano e Corni al pagamento delle spese processuali (che in teoria dovrebbero pagare loro, ma generalmente interviene il Ministero attingendo dalle nostre tasse, come nel caso Aldrovandi ad esempio), al risarcimento del danno in favore delle parti civili da definirsi in sede Civile, e al pagamento del 30% delle spese di giudizio mentre il restante 70% verrà compensato tra le parti.
E’ giustizia quando la vita di un uomo per le istituzioni vale così poco?
C’è amarezza e rabbia per l’ennesima dimostrazione che la giustizia di questo paese sia direttamente proporzionale alla sua vera identità, all’identità di uno Stato ingiusto, che anche in queste sedi fa emergere tutte le proprie contraddizioni.
Ma c’è una condanna, e non era scontato, c’è una condanna che più che simbolica ci sembra un tentativo strumentale per salvare l’attendibilità di un sistema giudiziario che generalmente tende alla totale assoluzione delle divise coinvolte, c’è una condanna emblematica più che reale, strumentale a salvare la credibilità dello Stato stesso, ma c’è una condanna che, anche se ridicola, riconosce tre dei quattro responsabili della morte di Riky come assassini.
Una sentenza comunque simbolicamente importante, dopo le tante troppe volte in cui ci siamo trovati di fronte a totali assoluzioni.
Resta la voglia di continuare al fianco della famiglia Magherini questa lotta fuori e dentro i tribunali, una lotta che, oltre al far emergere la verità sulle colpevolezze individuali delle divise coinvolte, significa per noi denunciare le responsabilità del sistema che genera e garantisce tutto questo.
-La vera condanna è stata data a tutti quelli che volevano bene a Riccardo con “un ergastolo” nel non poterlo rivedere più.-
La Verità la sappiamo, rimane scritta nel vuoto che ha lasciato Riky, nel dolore dei familiari, nell’impegno di chi non ha mai smesso di lottare in questi due anni lunghissimi.
Per noi, la vita di Riccardo, valeva molto di più.

ACAD-Onlus