ACAD

-Associazione Contro gli Abusi in Divisa – ONLUS –

Aggiornamento Processo De Michiel udienza del 04.09.2017

Ieri, 4 settembre, si è tenuta l’ultima udienza della fase istruttoria del processo “De Michiel”. Sono stati ascoltati gli ultimi due imputati, il capopattuglia e un agente della stessa. A differenza di molte altre volte erano presenti quasi tutti gli agenti in servizio quella notte.
Per il primo si è tenuto solamente il controesame (era stato ascoltato la scorsa volta), l’agente invece è stato ascoltato sia sottoposto al controesame delle parti.
I due esami hanno fatto emergere diverse contraddizioni tra le versioni dei due agenti, evidenziando come abbiano commesso diversi errori procedurali il 2 aprile 2009. Inoltre accusano i ragazzi di essere stati talmente “indemoniati” da rendere impossibile l’identificazione in Rio del Tentor e di aver tirato così tanti “calcioni” da creare danni importanti agli agenti. La domanda che sorge spontanea è come abbiano fatto due ragazzi di poco più di vent’anni a mettere in difficoltà cinque agenti di polizia con diversi anni di esperienza.
L’udienza si è quindi conclusa con il rinvio per le arringhe conclusive al 18 ottobre alle 14.30.
La conclusione di questa fase ci avvicina, finalmente, alla conclusione di un processo lungo, pieno di ostacoli e problematiche. Ci sono voluti anni per arrivare a questo momento ma, finalmente, dopo poco meno di nove anni, si cercherà di avere una versione unica della storia.

Udienza de Michiel – 21 giugno 2017

Oggi c’è stata l’udienza del processo De Michiel, durante la quale hanno raccontato la versione dei fatti i due fratelli.
Ciò che è successo quella notte non è stata una reazione ai loro comportamenti, ma una vera e propria aggressione nei loro confronti.
Le domande della avvocati degli agenti sono state superficiali e non hanno minimamente cercato di modificare il racconto dei ragazzi.
La prossima udienza è in programma il 5 luglio alle 14.30 e sono in programma le deposizioni di quattro agenti di polizia.

Firenze, aggiornamento sul Processo Magherini

Prossima udienza 19 Ottobre

Si è conclusa da poco la prima lunghissima udienza del processo d’appello per la morte di Riccardo Magherini.
Nella prima fase la giudice Romagnoli ha sintetizzato le 184 pagine delle vergognose motivazioni che hanno portato la giudice Bilosi alla sentenza dell’ 13 luglio scorso. Sentenza di primo grado che ha assolto Ascenzi e condannato Castellano, Della Porta e Corni rispettivamente a 7 e 8 simbolici mesi, condanne ridicole mai scontate con il beneficio della condizionale. Le motivazioni sembrano quelle di una sentenza di assoluzione per le divise imputate mentre non si risparmiano le accuse nei confronti di Riccardo. Una sentenza che di fatto condanna e colpevolizza “il morto” e dove la maggior parte dei testimoni che chiarivano i fatti di quella notte sono stati giudicati inattendibili.
Il Procuratore Generale Bocciolini ha chiesto 1 anno di condanna per Castellano, Corni e Della Porta e per la volontaria della CRI Matta, per l’altra volontaria Mitrea 8 mesi . Poi è stata la volta delle lunghe arringhe degli avvocati della Famiglia Magherini e delle parti civili, tutti presenti in aula insieme a numerosi amici, solidali e Ilaria Cucchi , assenti invece gli imputati CC. Gli avvocati Anselmo e Alfano hanno analizzato tutte le deposizioni e le testimonianze dove appare chiaro che l’unica causa della morte è stata l’asfissia e il comportamento violento dei CC durante un arresto ingiusto. Anselmo ha iniziato ricordando che “gli imputati tutelano la violenza, noi tuteliamo il diritto alla vita”.
L’ attenzione è stata puntata poi sui numerosi depistaggi che hanno accompagnato le indagini e la prima fase processuale
” smettete di scrivere sulla tastiera non è depistaggio per la sentenza, come è possibile tutto questo?” -ha fatto notare l’ Avv. Alfano – “testimoni che spariscono per evitare l’ intervento del pm sul luogo di morte cos’ è se non depistaggio?” “Intimidire i testimoni cos’ è? Far condurre interrogatori e prime indagini agli stessi indagati cos’ è? Se non depistaggio” Le parole dell’ Avv. Alfano visualizzano un disegno preciso mirato a far morire Riky per droga per coprire gli abusi commessi. Dalle parole degli avvocati è emerso alla perfezione che se Riccardo moriva in strada il pubblico ministero sarebbe dovuto intervenire subito e invece la vergogna è stata proprio questa: l’ inizio del depistaggio come un copione già scritto, Riccardo fatto morire in ospedale per iniziare i depistaggi e preparare il terreno per garantire l’ impunità a chi lo aveva ucciso. Parole che di fatto hanno ridicolizzato la sentenza salvandola solo nel valore simbolico che ha avuto per la famiglia in quanto ad oggi può chiamare assassini tre dei 4 carabinieri che hanno spezzato la vita di Riky quella notte. Ma tutto il resto rimane una grande vergogna.
La vita di Riky vale molto di più.
E l’hanno ridotto così, loro, questo non può essere cambiato.

Aggiornamento processo De Michiel

Martedì 5 Aprile si è svolta l’Udienza del Processo De Michiel, che vede coinvolti 4 agenti della Polizia di Stato e la Famiglia de Michiel. Per la prima volta dal 2009, si sono presentati coloro che sono accusati di aver picchiato i due fratelli.
Per primo è stato ascoltato l’Agente Milani, presente nella Questura di Santa Chiara nella notte del 2 aprile 2009, il quale ha riferito di aver visto Tommaso nel chiostro e di aver notato che riusciva a stare in piedi autonomamente. Inoltre racconta di aver sentito delle minacce da parte del ragazzo nei confronti degli agenti e delle loro famiglie. Infine ha affermato di essere stato presente al colloquio tra il padre dei ragazzi e il capo pattuglia Bressan. Questa testimonianza non trova riscontro nel racconto della famiglia, in quanto il padre afferma di aver salutato Milani (avevano lavorato insieme per diverso tempo) e di non averlo più visto successivamente.
Il secondo a deporre è stato Walter De Michiel, a disposizione per il controesame. Walter ha raccontato la sua versione della storia, senza ricevere alcuna domanda da parte degli avvocati difensori della polizia.
Infine è stato il turno dell’Agente Scelto Paolilli, al tempo in forze presso la Questura di Venezia. Racconta della notte in cui hanno fermato i due ragazzi su Rio del Tentor. A suo dire i ragazzi erano visibilmente alterati (“una certa fiatella alcoolica”) e si rifiutavano di fornire le proprie generalità; dopo diversi minuti in cui gli agenti hanno cercato di calmarli, Tommaso è saltato sull’imbarcazione della Polizia, scivolando, procurandosi delle ferite e iniziando a scalciare ed inveire contro gli agenti. Preoccupati per la facilità di accesso al mitra presente sulla barca, hanno dovuto procedere all’ammanettamento del ragazzo.
Una delle accuse mosse nei confronti di Paolilli è di aver sferrato il calcio ai testicoli di Tommaso: l’agente sostiene invece di aver contenuto il ragazzo solamente in un’occasione e in maniera “amichevole”.
Risulta quindi lampante la differenza tra le versioni, da una parte i ragazzi raccontano di essere stati picchiati e insultati (“zecche di merda”) da Paolilli e colleghi, dall’altra, gli Agenti sostengono di aver voluto evitare problemi per i due fratelli, comportandosi da bravi “Padri di Famiglia”.
La prossima udienza sarà il 21 Giugno 2017 alle ore 14.15, presso il Tribunale di Venezia. Mancano ancora poche deposizioni prima della conclusione: verranno ascoltati Tommaso, Niccolò, gli Agenti Boccia e Cristiano e il Capo Pattuglia Bressan.

Il carabiniere sparò a Mauro Guerra per uccidere

Omicidio volontario, secondo il pm di Rovigo, l’accusa per il maresciallo dei carabinieri che uccise Mauro Guerra nel luglio del 2015. Ribaltata la prima ipotesi di omicidio colposo
di Ercole Olmi

Ora rischia l’ergastolo il maresciallo dei carabinieri Marco Pegoraro, 45 anni, già comandante della stazione dell’Arma di Carmignano di Sant’Urbano. Il pubblico ministero della Procura di Rovigo Fabrizio Suriano ha concluso le indagini ipotizzando l’omicidio volontario per la morte di Mauro Guerra, il 33enne di Carmignano, laureato in Economia aziendale, di professione buttafuori, freddato da un colpo di pistola esploso, da distanza ravvicinata, dall’arma d’ordinanza del militare il 29 luglio 2015. Dopo essere stato in un primo momento imputato di omicidio colposo per aver sparato a un uomo nell’estate 2015 al termine di un inseguimento nei campi tra il nel padovano e il rodigino, il maresciallo dei carabinieri è ora accusato di omicidio volontario. Pegoraro da poco al comando della locale stazione dei carabinieri, era intervenuto assieme a un vice brigadiere a casa dell’uomo, conosciuto come persona ‘disturbata’, che quando andava in escandescenza offendeva e minacciava sorella e madre. Secondo l’accusa i militari si presentarono all’abitazione di Guerra annunciando di dover operare un Tso che alla luce delle indagini, come indicano i quotidiani locali, non ci sarebbe stato. Fuggito in mutande da una finestra l’uomo era stato bloccato e ammanettato dal secondo carabiniere che aveva però dovuto subirne la violenta reazione rimanendo gravemente ferito. Proprio per soccorrere il collega il maresciallo intervenne esplodendo in aria tre colpi di Berretta semiautomatica ed un quarto al fianco della vittima. Alla luce dell’inchiesta il pm ha ritenuto che l’intervento del maresciallo non fosse mosso dall’intenzione di salvare il collega che, pur ferito, non sarebbe stato in pericolo di vita.
Si legge sul sito di Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa che, il pomeriggio del 29 luglio, in un campo di sterpaglie poco distante da casa sua a Carmignano di Sant’Urbano nel padovano: Mauro era scalzo e in mutande quando gli hanno sparato.Gli organi di stampa nelle ore successive al fatto hanno dato una serie di versioni molto diverse tra loro in merito all’accaduto. Secondo la prima versione (subito smentita dalla famiglia) i carabinieri sarebbero stati chiamati dalla famiglia del ragazzo il quale durante una lite avrebbe dato in escandescenza, da qui l’intervento dei militari per sottoporre Mauro ad un Trattamento Sanitario Obbligatorio e Mauro che avrebbe tentato la fuga per sottrarsi al trattamento, ne sarebbe quindi nato un inseguimento e una colluttazione con uno dei carabinieri. Sempre secondo la versione dell’Arma il militare sarebbe stato colpito più volte dal ragazzo con un corpo contundente rimanendo ferito e riportando la frattura della teca cranica, della mandibola e di sei costole. A quel punto sarebbe arrivato il collega che vedendo il militare a terra sanguinante avrebbe estratto la pistola e sparato prima due colpi in aria e poi un terzo all’indirizzo di Mauro che è deceduto sul posto pochi istanti dopo essere stato colpito al fianco. Col passare delle ore questa versione ha subìto parecchi mutamenti e la stampa (in particolare Il Mattino di Padova) ha iniziato anche a screditare la vittima descrivendola come una persona disturbata e violenta asserendo inoltre: 1) che qualche giorno prima della morte Mauro si era recato presso la caserma dei carabinieri a consegnare un manoscritto delirante in cui parlava di Dio e del diavolo, di Ezechiele e del destino del mondo; 2) che qualche giorno prima della morte di Mauro i carabinieri avevano ricevuto la segnalazione di una famiglia che avrebbe visto Mauro nascosto dietro un cespuglio; 3) un compagno di palestra avrebbe ricevuto da Mauro una sberla senza motivo sempre qualche giorno prima della morte; 4) che quella mattina all’arrivo dei militari Mauro aveva occhi spiritati e parlava in modo incomprensibile; 5) che una volta ferito dal colpo di pistola avrebbe continuato con ferocia la sua azione interrotta solo dall’intervento di altri quattro carabinieri.
Anche in merito alle lesioni riportate dal carabiniere c’è poca chiarezza visto che quelle sopracitate vengono poi ridimensionate in sospetta lesione cranica, frattura della mascella e una costola incrinata e il carabiniere che veniva dato in fin di vita è stato poi dimesso poche ore dopo l’accaduto. I familiari, con una telefonata al numero verde di Acad, hanno riferito una storia diversa: «Abbiamo la testimonianza di diverse persone che erano lì – racconta una parente – i carabinieri hanno la loro versione ma noi abbiamo i testimoni. Mauro era stato bloccato, già gli era stata infilata una delle manette ma il carabiniere lo ha aggredito e lui ha reagito. Non so cosa gli abbia detto ma è vero che Mauro lo ha colpito, due-tre pugni, non so. Così si è divincolato, si è girato ed è andato via quasi camminando, camminava, ma gli ha sparato alle spalle. E gli altri carabinieri, che erano a cento metri, quando sono arrivati, hanno continuato a prenderlo a calci quando già era a terra». secondo quanto ci ha detto la famiglia Mauro quella mattina era in casa con il fratello minore e il padre, non c’è stata alcuna lite in famiglia, non si capisce chi abbia allertato i carabinieri e l’ambulanza (tant’è che anche il padre di Mauro è rimasto sorpreso dall’arrivo dei militari) e il modulo per il Tso non avrebbe in calce né la firma di un medico né le firme delle Autorità del comune.
Ad effettuare i rilievi sul posto gli stessi colleghi dei carabinieri coinvolti, una costante in casi del genere. La famiglia ad oggi non sa se nemmeno se il pm si sia mai recato sul luogo. «Nemmeno un cane si ammazza in questa maniera. Lo avete ucciso voi, vergognatevi!» Il carabiniere che ha sparato è stato iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio colposo e trasferito alla Legione Veneto. Circa una settimana dopo i fatti abbiamo appreso dalla stampa locale che altri due carabinieri sarebbero ricorsi alle cure mediche e si sarebbero fatti refertare una distorsione al polso e una frattura del metacarpo che avrebbero riportato durante la colluttazione con il giovane che, già ferito e morente, secondo loro continuava a picchiare con forza.

Da popoffquotidiano.it

Omicidio Budroni: trasferito il giudice che voleva ridiscutere il reato

Omicidio Budroni. Nella scorsa udienza il giudice aveva chiesto di capire se fosse omicidio volontario e non colposo. Tre giorni fa è stato trasferito e l’udienza di oggi rimbalza a gennaio. Sconcerto dei familiari.
di Checchino Antonini

Doccia fredda per i familiari di Dino Budroni, stamattina, a Piazzale Clodio dove doveva tenersi la seconda udienza del processo d’appello per l’omicidio di Budroni. L’udienza è stata rinviata al 12 gennaio. «Il rischio è che sia un passo indietro rispetto alle speranze di rimetterre in discussione il reato contestato», commentano gli attivisti di Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa da sempre a fianco della famiglia Budroni. Al banco degli imputati, per omicidio colposo, un agente di polizia che ha freddato l’uomo nella notte fra il 30 e il 31 luglio del 2011 sul Gra di Roma al termine di un inseguimento. La Corte aveva rinviato, lo scorso aprile, la trattazione al 14 novembre, ma con il rinvio aveva rivolto l’invito a discutere in via preliminare un tema che era stato sottoposto dai familiari di Budroni già nel corso del primo grado: quello di Budroni è stato un omicidio colposo o un omicidio volontario, quindi commesso con dolo? Il poliziotto ha sparato accettando il rischio, possibile o probabile, di colpirle l’uomo? Ma stamattina i familiari e i loro legali hanno scoperto che il relatore che aveva sollevato la questione, il giudice Calabria, è stato trasferito da tre giorni ad altro incarico e il nuovo giudice, alle prese con un’udienza da 40 processi, non conosceva quasi nulla del caso e si profilava un ennesimo rinvio. «Nessuno ci aveva detto nulla e nemmeno il procuratore generale lo sapeva», spiega a Popoff, Fabio Anselmo, legale dei Budroni come anche di Cucchi, Magherini, Bifolco e molti altri casi di malapolizia. «Siamo fermi, capisco l’indignazione e lo sconcerto dei familiari di Dino».
La sentenza di primo grado aveva descritto uno scenario completamente diverso. L’agente, per il giudice estensore, aveva sì sparato colpendo mortalmente Budroni a seguito di un inseguimento sul grande raccordo anulare di Roma, ma era stato assolto per uso legittimo delle armi. Le motivazioni sposarono la tesi dell’avvocato della difesa per cui lo sparo sarebbe avvenuto quando le autovetture erano ancora in movimento – l’agente imputato ha sempre dichiarato di aver mirato alle ruote – ma poi riporta le testimonianze di uno dei carabinieri intervenuti che ha dichiarato di aver sentito gli spari quando tutti i mezzi erano quasi praticamente fermi.
«Oltre a questo – spiegarono a suo tempo Valentina Calderone di A Buon Diritto e Alessandra Pisa, legale di parte civile – il giudice, ha ritenuto di esaminare il caso “nel suo complessivo svolgimento e non già soltanto nell’ultima fase”. Come a dire: non ho provato che il pericolo fosse attuale e concreto, ma dato il comportamento di Budroni nelle fasi precedenti, l’agente ha fatto bene a sparare. Lo stesso giudice dovrebbe sapere, però, che nel nostro Paese non è più in vigore la pena di morte, e che se anche Budroni quella notte avesse commesso dei reati, avrebbe dovuto avere la possibilità di presentarsi davanti a un tribunale ed essere giudicato». Per questo l’udienza di aprile era stata accolta con soddisfazione dalla famiglia, che ha visto nelle parole della Corte un segno di estrema attenzione fino ad allora momento sempre negata.
La Corte d’appello si è posta un problema che rimette quindi in discussione non solo l’esistenza della responsabilità del poliziotto ma anche la gravità della stessa. Il trasferimento del giudice Calabria rischia di rimettere in discussione l’orientamento della Corte al punto da restituire la domanda se sia stata solo routine burocratica o una mossa ad hoc per disinnescare un processo di malapolizia.

Da: popoffquotidiano.it