ACAD

-Associazione Contro gli Abusi in Divisa – ONLUS –

AGGIORNAMENTO DALL’UDIENZA PER L’OPPOSIZIONE ALL’ARCHIVIAZIONE DELLA MORTE DI ARAFET ARFAOUI

Si è da poco conclusa l’udienza a porte chiuse davanti al Giudice per le indagini preliminari Mancuso.
Insieme alla moglie di Arafet, l’avvocato Giovanni Conticelli ha esposto per oltre un’ora la dettagliatissima relazione di opposizione accompagnata da documentazioni audio e video dei momenti che hanno preceduto la morte.
La difesa di Arafet ha concluso chiedendo nuove indagini e ulteriori approfondimenti medico legali necessari a far chiarezza su questa morte gravissima nelle mani delle forze dell’ordine.
il gip si è riservato di decidere e la risposta è attesa nei prossimi giorni.
Abbiamo abbracciato la moglie per i tanti solidali che in questi giorni c’hanno chiesto di farlo.
VERITÀ PER ARAFET.
LA MORTE NON SI ARCHIVIA!
Acad-Onlus

 

COMUNICATO DI ACAD-ONLUS PER L’OPPOSIZIONE ALL’ARCHIVIAZIONE DELLA MORTE DI ARAFET ARFAOUI

A tutti gli organi di stampa
A tutte le realtà politiche e sociali
A tutti i solidali

“L’unica cosa che voglio è la verità sulla morte di mio marito. Non voglio soldi, non voglio vendette, voglio solo verità e giustizia per il mio Arafet”. La moglie.
Domani, giovedì 16 Gennaio alle 12.45 presso il Tribunale di Firenze, si terrà l’udienza per l’opposizione all’archiviazione del caso riguardante la morte di Arafet Arfaoui, il trentunenne deceduto ad Empoli durante un fermo di polizia all’interno di un money trasfert il 17 gennaio 2019.
Arafet è morto nelle mani delle forze dell’ordine, come successo già tante, troppe altre volte.
Arafet è morto con le manette ai polsi e i piedi legati.
È morto nelle mani degli agenti, i quali hanno dichiarato che Arafet fosse stato violento e non collaborativo, dicendo che per farsi consegnare i documenti ci sono voluti 20 minuti, ma questo fatto è smentito clamorosamente dalle telecamere presenti, in quanto dalle immagini è chiarito che dopo tre minuti avevano già il suo portafoglio.
Come è chiarito che era agitato, aveva paura, ma NON era violento.
È morto nelle mani di cinque agenti, due intervenuti subito, tre sopraggiunti successivamente sul posto, che si alternavano, in tre a turno, per contenere Arafet a terra, legato.
È morto mentre cercava di spedire i soldi ai suoi cari lontani, accusato dal gestore del negozio di possedere 20 euro false, sosteneva di aver subito lui stesso una truffa, infatti Arafet è stato il primo ad invocare la chiamata delle forze dell’ordine per accertamenti al negozio.
È morto dopo una colluttazione che possiamo solo immaginare nel bagno del locale privo di telecamere, ma scritta sui 23 segni di ecchimosi ed escoriazioni rilevate sul corpo di Arafet.
È morto dopo 15 minuti di contenimento in posizione prona con i poliziotti che continuavano a tenerlo a terra nonostante avesse smesso ormai di muoversi, parlare e lamentarsi.
Arafet è morto tra lancinanti gemiti di sofferenza registrati durante la telefonata fatta al 118 in quei tragici momenti.
È morto con un consistente edema polmonare, tale da rendere un polmone grande il doppio dell’altro.
È morto tra paura, panico e patimenti.
È morto con gli operatori del 118 che non sono intervenuti sul corpo per ben 5 minuti dopo il loro arrivo. Perché? C’era forse qualcuno che continuava a dire che Arafet fosse “violento e pericoloso”, nonostante le immagini delle telecamere visionate e le dichiarazioni dei sanitari depositate al PM, descrivano una realtà diversa e siano concordi nel definire che in quei 5 minuti all’interno del money trasfert non l’avessero “mai visto muoversi né parlare o emettere alcun tipo di suono”?
Come se fosse stato lasciato morire impedendo la possibilità di salvarlo.
Di cosa è morto Arafet?
Tutti, medici legali e consulenti scientifici di ambo le parti, concordano nell’affermare che Arafet è deceduto per “MORTE ELETTRICA CARDIACA”.
Ma cosa ha causato la “morte elettrica cardiaca” di Arafet?
Questa tipologia di morte può avere tre cause, lo dice il nostro medico legale e la letteratura scientifica internazionale:
-intossicazione letale acuta da sostanze d’abuso (overdose da droghe pesanti);
-infarto acuto del miocardio;
-insufficienza respiratoria per impedimento degli arti respiratori (asfissia posizionale).
Arafet aveva assunto cocaina, ma in piccola quantità, ben lontana dalla dose indicata scientificamente come letale , infatti entrambi i tossicologi assunti per questa verifica, (sia dal medico legale nominato dal pubblico ministero, sia quello nominato dalla moglie di Arafet), ESCLUDONO che la causa di morte sia stata determinata direttamente all’assunzione della sostanza.
Arafet non ha avuto un’overdose quindi e non ha avuto neanche un infarto al miocardio, lo dice l’autopsia.
Nonostante questo, il medico legale del PM e di conseguenza il Pubblico Ministero stesso, senza spiegazioni causali, ha concluso che la morte è sopraggiunta per : ” arresto cardiaco dovuto a morte elettrica cardiaca in corso di intossicazione acuta da sostanza stupefacenti assunte circa un’ora prima del decesso. Purtroppo nonostante il tempestivo intervento (??? 5 minuti tempestivo???)del medico e del personale para medico già presenti al suo fianco al momento dell’arresto cardiaco, non fu possibile riportarlo in vita”.
La conclusione pare priva di una specifica analisi logica e scientifica del processo causale.
Cosa che invece è stata ampiamente data e dimostrata da tutti gli accertamenti fatti dal medico legale della moglie di Arafet, che nella sua relazione tecnica allegata alla dettagliatissima opposizione all’archiviazione prodotta dall’avvocato Giovanni Conticelli, dimostra perfettamente come il corpo stesso di Arafet e tutte le risposte ricavate meticolosamente dalla lunga autopsia chiariscono che la morte elettrica sarebbe stata concausata da insufficienza respiratoria acuta per impedimento degli arti respiratori (asfissia posizionale) in soggetto in stato di agitazione e sotto effetto di cocaina.
“Non si concorda né sulle considerazioni relative alla condotta degli agenti di Polizia
e del personale medico del 118 intervenuti né, tantomeno, sull’individuazione delle cause che hanno determinato il decesso di Arafet Arfaoui.” Così inizia L’OPPOSIZIONE all’archiviazione depositata dall’avvocato Conticelli.
Ci opporremo con tutte le forze possibili affinché il procedimento penale prosegua, la morte di Arafet non può essere ARCHIVIATA, non si può archiviare la verità di fronte alla morte di un uomo.
Dopo Riccardo Magherini schiacciato e soffocato sull’asfalto a Firenze, dopo la lunga lista di morti di Stato e impunità, ne abbiamo abbastanza di lacrime e delusioni, ne abbiamo abbastanza di uno Stato che continua a negare le proprie responsabilità e continua ad autoassolversi lasciando impuniti i suoi uomini in divisa.
L’avvocato Giovanni Conticelli e il medico legale Valentina Bugelli hanno lavorato duramente e con la massima serietà e professionalità per preparare l’opposizione alla richiesta di archiviazione avanzata dal Pubblico Ministero, noi con loro ci aspettiamo che tutto ciò non venga ignorato.
Il 17 gennaio sarà l’anniversario della morte.
Un anno fianco a fianco alla moglie di Arafet, un anno di notti insonni a visionare immagini e testimonianze, un anno di solidarietà e sforzi economici per pagare le tante consulenze.
Un anno senza Arafet.
Vogliamo nuove indagini e un processo serio.
Vogliamo l’immediata iscrizione nel registro degli indagati dei 5 agenti coinvolti per omicidio colposo.
Vogliamo rispetto per la vita delle persone.
Non lasciamo che Arafet muoia due volte e con lui, per l’ennesima volta, la giustizia.
Invitiamo chiunque voglia essere presente per sostenere questa causa ad essere giovedì 16 gennaio dalle ore 12e30 fuori dal Tribunale di Firenze.
VERITÀ PER ARAFET.
LA MORTE NON SI ARCHIVIA.
MAI PIÙ.

Acad-Onlus

Spezziamo quel silenzio // Presidio al carcere di San Gimignano

Sabato 26 ottobre saremo presenti!
Presidio al carcere di San Gimignano contro abusi e torture!

Spezziamo quel silenzio di tomba!
A fianco di chi lotta contro il carcere, a fianco dei prigionieri di San Gimignano!

Il 22 settembre scorso i giornali hanno riportato la notizia di un’indagine che vede coinvolte 15 guardie del carcere di San Gimignano, accusate sulla base di testimonianze dirette di avere picchiato un prigioniero con pugni e calci, fino a lasciarlo svenuto a terra. Subito si è levato il coro a difesa della polizia penitenziaria, ed è naturale che sia così: occorreva per l’ennesima volta nascondere all’opinione pubblica quella che è la realtà di un sistema penale e carcerario marcio da cima a fondo!Al massimo si è fatto riferimento alle classiche “mele marce” che non devono guastare il cesto: anche questo un film già visto troppe volte, quando i cosiddetti tutori dell’ordine vanno oltre gli ordinari livelli di impunità e la fanno troppo grossa. In questo caso forse sono stati sbadati e si sono fatti riprendere dalle loro stesse telecamere, altrimenti tutto sarebbe caduto nel silenzio per l’ennesima volta, nonostante le denunce.è molto eloquente, a questo riguardo, che la direzione del carcere e successivamente lo stesso Dap, che sovrintende alle carceri, abbiano negato per mesi, di fronte alle denunce dei prigionieri raccolte da una associazione, che questo pestaggio fosse mai avvenuto, mentre la dottoressa che ha firmato il referto è stata oggetto di intimidazioni.Perché questa è la realtà quotidiana delle galere che si vuole nascondere: violenza e sopraffazione sistematica, che non comincia dai pestaggi ma dalle condizioni invivibili cui sono costretti i prigionieri, vessati da regolamenti inumani e da strutture fatiscenti e sovraffollate. Nello specifico di San Gimignano parliamo di un carcere dove addirittura manca l’acqua potabile e i detenuti sono costretti per bere a comprare l’acqua minerale a proprie spese; di un carcere costruito in mezzo alla campagna, per essere ancora più isolato e nascosto, dove i familiari per fare visita ai propri cari devono organizzarsi con i pulmann. Ma per uno stato sempre pronto ad autoassolversi è tutto nella norma: “a San Gimignano la situazione è accettabile” dice i capo del Dap Basentini.Vogliamo però dire che non esiste un carcere umano e la soluzione non è certo una detenzione a 5 stelle, se mai possibile. Gli abusi e la tortura sono figli legittimi dell’insensatezza della carcerazione e del sistema penale di questo stato. Perché si parla tanto di rieducazione ma ci permettiamo di chiedere: chi dovrebbe essere rieducato? Un gruppo di prigionieri che mette a rischio la propria incolumità per denunciare un sopruso o le guardie che in 15 contro 1 picchiano una persona indifesa perché amministrano un ordine intrinsecamente violento e ingiusto, che umilia, tortura e uccide quotidianamente (già 98 morti quest’anno)? O non dovrebbe piuttosto essere rieducata una classe dirigente che nasconde tutto questo perché è troppo interessata a dare in pasto al popolo il mostro di turno per indirizzare in altra direzione lo scontento e la potenziale rabbia popolare che potrebbero rivolgersi contro se stessa? Vogliamo rimarcare che i pestaggi, a S. Gimignano come nelle altre carceri, rappresentano la ordinaria sanzione, da parte delle guardie, di una insubordinazione rispetto all’ordine costituito. In queste mesi le proteste contro gli abusi delle direzioni degli istituti e della polizia penitenziaria si sono moltiplicate: Napoli, Trento, Perugia, Palmi, Reggio Emilia, Campobasso solo per citare le più recenti. Non è quindi un caso che Salvini, l’uomo dei “decreti sicurezza” che ha fatto della violenza armata del potere la sua bandiera politica, abbia solidarizzato con le guardie sotto indagine andando sotto il carcere.Una visita atta a sbandierare l’impunità di cui le forze della repressione ritengono di dover godere in questo sistema, impunità che fa sì che si possa entrare sulle nostre gambe all’interno di una questura o di una galera per uscirne dentro una bara. Ma fortunatamente la visita di Salvini ha visto una pronta e significativa reazione da parte dei prigionieri che hanno protestato rumorosamente.In questo momento riteniamo sia di fondamentale importanza portare tutta la solidarietà possibile ai detenuti di San Gimignano. Per questo sabato 26 ottobre andremo sotto le mura di quel carcere, in contemporanea con il presidio che si svolgerà sotto il carcere di Parma per ricordare Egidio Tiraborrelli, operaio in pensione ucciso a 82 anni, dopo essere stato condannato in contumacia per favoreggiamento dell’immigrazione.Pur gravemente malato, gli sono stati rifiutati i domiciliari e così è uscito dal carcere solo per andare nell’ospedale dove alla fine è deceduto. Lo faremo contro l’inferno dei cosiddetti “regimi differenziati”. Contro, cioè, le sezioni di 41bis in cui i prigionieri sono sottoposti ad un trattamento che costituisce una vera e propria tortura. Contro quelle di Alta Sicurezza (AS) in cui si isolano le persone detenute dal resto della popolazione carceraria.Lo faremo in solidarietà con tutt@ i compagn@ che si ritrovano prigionieri o sotto processo per le lotte contro questo stato che violenta, tortura e uccide ogni giorno attraverso i suoi servi. Lo faremo perché riteniamo che la lotta contro le carceri, dentro e fuori le mura, sia un tassello fondamentale della rivolta contro l’esistente, e che la solidarietà resti sempre la nostra migliore arma.

CAMPAGNA “PAGINE CONTRO LA TORTURA”

Il bavaglio all’informazione, la repressione, la Costituzione

Quale responsabilità hanno la stampa e i mezzi di informazione nella diffusione di notizie inerenti a abusi e violazioni dei diritti da parte delle Forze dell’Ordine? Dai fatti di Genova ai numerosi casi di abusi in divisa emersi solo parzialmente e spesso distorti, solo in parte siamo riusciti a conoscere una verità nascosta grazie alla tenacia e al coraggio di familiari e avvocati che non si sono stancati di lottare. Per tacere della repressione esercitata grazie alla copertura di provvedimenti liberticidi spesso introdotti negli stadi e poi sdoganati nello spazio sociale.
Di fronte all’inasprirsi di un clima oppressivo, sempre più urgente appare la necessità di una vigilanza democratica che impedisca la violazione di diritti fondamentali; a partire da quelli sanciti dalla Costituzione.

Introducono
Ornella De Zordo e Francesca Conti, La Città invisibile

Intervengono
Rosalba Romano, Vigilanza democratica
Murat Cinar, giornalista Pressenza
Cristiano Lucchi, giornalista La Città invisibile
Lorenzo Guadagnucci, giornalista, Verità e giustizia per Genova
Valentina Martini, avvocata Associazione Contro gli Abusi in Divisa, Acad

A seguire è stata organizzata una cena di raccolta fondi (pizza e birra 10 euro, telefonare a Fabio 3392834775 entro venerdì). Durante tutto l’evento sarà possibile acquistare libri e materiale sul tema della repressione. Chiunque ne disponesse è libero di portarlo ed esporlo.

Domenica 22 settembre 2019 dalle ore 18:00 alle 22:00
C.d.P Il Campino – Progetto Mutuo Soccorso
Organizza la rivista La Città invisibile www.perunaltracitta.org

OMICIDIO RICCARDO MAGHERINI: ACCOLTO IL RICORSO A STRASBURGO, LO STATO ITALIANO A RISCHIO SANZIONI

La Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha accolto il ricorso dei legali della famiglia Magherini, depositato dopo la vergognosa sentenza di assoluzione in Cassazione del novembre scorso. La Corte Europea affronterà il caso del processo per l’omicidio di Riccardo, morto il 3 marzo 2014 nelle mani di 4 carabinieri in Borgo San Frediano a Firenze.
Strasburgo si dovrà pronunciare sulla richiesta di condannare l’Italia per non aver rispettato il diritto alla vita e l’equo processo per la morte di Riky e per aver garantito impunità alle divise coinvolte.

BASTA IMPUNITÀ.
RIKY VIVE.

SULLA RICHIESTA DI ARCHIVIAZIONE PER LA MORTE DI ARAFET NON CI ARRENDIAMO: VERITA’ E GIUSTIZIA PER ARAFET!

In queste ore ci è pervenuta la richiesta di archiviazione da parte del Pubblico Ministero. Come ormai prassi, purtroppo, la tendenza è quella di archiviare morti e pestaggi quando ci sono di mezzo le forze dell’ordine. Il PM ritiene che la morte di Arafet avvenuta a Empoli il 19 gennaio 2019, sia dovuta ad una “reazione emotiva data dal suo stato di salute di estrema agitazione” in seguito all’intervento della polizia e che questa agitazione insieme “all’assunzione di cocaina avrebbero determinato un arresto cardiaco da morte elettrica in corso di intossicazione” in un contesto, sempre secondo il PM, nel quale i poliziotti “hanno agito in maniera regolare” e lo stesso i sanitari del 118 intervenuti. Alla luce di questo, uniti alla Moglie e insieme all’ Avv. Giovanni Conticelli, legale di Arafet e nostro rappresentante nella difesa delle parti civili, dichiariamo a gran voce che non si condivide in alcun modo le conclusioni del pubblico ministero e che provvederemo, nei termini di legge di 20 giorni, a proporre opposizione al GIP chiedendo ulteriori accertamenti, con particolare attenzione alle cause di morte, poiché il medico-legale consulente della difesa (della Moglie e di ACAD-Onlus), ha individuato invece elementi clinici e medico legali riconducibili ad una sofferenza respiratoria da asfissia posizionale che sarebbe concausa della morte di Arafet al di là del suo stato di alterazione dovuto all’intervento della polizia e all’assunzione di cocaina. Per questi motivi faremo ferma opposizione al GIP chiedendo di accettare questi ulteriori elementi anche e soprattutto alla luce del fatto che tutta la fase di colluttazione e dell’arresto di Arafet non sono state riprese da telecamere in quanto il fermo stava avvenendo nell’unica zona del locale sprovvista e che la testimonianza degli stessi poliziotti e degli altri soggetti coinvolti dice che Arafet era tenuto a terra a pancia all’ingiù, in posizione prona con le mani ammanettate, le gambe legate da una corda fornita dal proprietario del locale e con un poliziotto che lo teneva per le caviglie e altri due che lo tenevano per le spalle. In questo contesto quindi, riteniamo che debba essere fatta assolutamente chiarezza in quanto, lo ribadiamo, non convince in alcun modo la conclusione prodotta dal pubblico ministero.
VOGLIAMO VERITA’ E GIUSTIZIA PER ARAFET! LA MORTE NON SI ARCHIVIA.
Lotteremo fino alla fine per dare ad Arafet la dignità e il rispetto che merita.
Acad-Onlus