ACAD

-Associazione Contro gli Abusi in Divisa – ONLUS –

La mattanza in Divisa contro la tifoseria dell’Atalanta

La mattanza in Divisa contro la tifoseria dell’Atalanta

atalanta

In questo articolo, raccoglieremo tutte le testimonianze che ci stanno arrivando dopo i fatti accaduti a Firenze quando la partita di calcio di Coppa Italia era ormai finita, un evento sportivo in cui non sono MAI avvenuti incidenti tra le tifoserie opposte. Né prima, né durante, né dopo il match.
Come Acad, Associazione Contro gli Abusi in Divisa, cogliamo l’occasione per esprimere solidarietà, vicinanza e tutto il supporto necessario alle persone colpite dalla mattanza avvenuta mercoledi sera, dove i veri “teppisti” sono stati agenti in divisa come testimoniano le immagini qui sotto riportate.

Questo è quello che è successo la scorsa notte ai tifosi atalantini, di ritorno dalla partita di Coppa Italia giocata a Firenze: calci, pugni, manganellate, insulti.

https://www.facebook.com/poterealpopolo.org/videos/155185705396886/

 

La Questura è riuscita in poche a fornire versioni contraddittorie della vicenda: prima si parla di un poliziotto salito solo aggredito all’interno di un pullman atalantino, poi si descrivono tifosi e armati inferociti che assaltano la polizia. Ma le menzogne hanno le gambe corte, chiunque ha potuto assistere ai fatti sa cosa è successo, e Sostieni la Curva sta raccogliendo materiale per dimostrarlo. Riportiamo ancora una testimonianza diretta è alcune foto e video .

E’ l’una di notte circa. Son sul pullman che ci sta riportando a casa da Firenze, il secondo dei pullman della Curva. Da qualche kilometro stiamo percorrendo una superstrada a tre corsie e tra meno di un kilometro imboccheremo l’autostrada. Siamo ormai ad una decina di kilometri dallo stadio. L’aria è tranquilla, non si è visto nessun fiorentino e con la Polizia tutto è filato liscio: non c’è stata alcuna tensione, nemmeno durante quel prefiltraggio assurdo. Seduto sul sedile, di spalle all’autista, socchiudo un attimo gli occhi, inizio a pensare al domani: “che bale, domà go de andà a Milà a laurà, mèi dörmì ‘n po”. Nemmeno il tempo di pensarlo e i ragazzi di fianco iniziano ad urlare: “cosa cazzo sta succedendo lì davanti?”. Mi alzo e mi giro verso la direzione di marcia. Il primo pullman, quello davanti a noi (precedentemente scortato con una camionetta davanti ed una dietro), viene affiancato nella corsia di sinistra da un’altra camionetta, con sportellone aperto e con all’interno agenti armati di scudo, manganello e casco in testa, pronti a scendere. La camionetta davanti decide allora di fermarsi e di bloccare il pullman. Scendono immediatamente tutti i poliziotti dalle tre camionette. Di fretta e furia cercano di salire sul primo pullman, ovviamente armati e con poca intenzione di scambiare due chiacchiere. Siamo in un punto della strada completamente isolato, nel bel mezzo del nulla, senza telecamere che possano documentare il fatto. Tutto chiaramente premeditato.
Vediamo la polizia caricare il pullman, i manganelli volano. Alcuni ragazzi del secondo pullman scendono per cercare di capire cosa sta succedendo. Ma niente da fare, anche loro vengono presi a manganellate e decidono allora di tornare sul nostro pullman. Un poliziotto ordina caldamente al nostro autista di aprire le porte del pullman. Aperta la porta, salgono due poliziotti che iniziano a manganellare chiunque cerchi di ottenere spiegazioni. Dopo qualche minuto abbandonano il nostro pullman. L’autista decide allora di ripartire ma veniamo fermati 500 metri più avanti, poco prima del casello autostradale. Veniamo fatti scendere uno ad uno (“o scendete o vi prendiamo a schiaffi!”, queste son le opzioni). Ci viene richiesto un documento e veniamo fotografati. I poliziotti nel frattempo non fanno altro che minacciarci ed insultarci, chiaramente in attesa di una nostra reazione, che però non arriva. Siamo una settantina sul pullman doppio e la polizia ci mette più di un’ora ad identificarci tutti. Decidono poi di perquisire il pullman. Sequestrano tutte le bandierine ed i due aste (tra cui il due aste del mio vicino di posto, regalatogli dalla sua nipotina di 10 anni, chissà che pericolo).
Riprendiamo il tragitto, decisamente provati. Chiamiamo i ragazzi dell’altro pullman. A loro è andata decisamente peggio: sono stati fatti scendere a pugni e manganellate dal loro pullman, per poi essere messi faccia a faccia col muro della superstrada. Identificati, sono tornati sul pullman mentre i poliziotti si erano schierati su due file in modo da suonargliele sia da destra che da sinistra. Il risultato è di diversi ragazzi feriti, alcuni con tagli sulla testa, altri con escoriazioni sul volto e zigomi gonfi.
Arriviamo a Bergamo verso le 8 di mattina.

Ho capito stanotte chi rappresenta il primo pericolo quando si va allo stadio, proprio chi dovrebbe garantire la tua sicurezza. La frustrazione è che nessuno potrà mai difenderti quando la Polizia abuserà dei suoi poteri, nessuno arriverà in tuo soccorso.
Ma rimango con il pensiero che nella vita tutto torna, e con la coscienza pulita ripenso ai bei momenti di ieri.
Alla fine non sono riusciti a scalfirli.

 

«Nascosti sotto i sedili per evitare le botte»
La testimonianza di un tifoso nerazzurro

 

«A un certo punto siamo stati affiancati da un cellulare della Celere: avevano il portellone aperto e ci insultavano».

Inizia così quella che per un trentenne è stata una delle ore peggiori della sua vita da ultrà. Era sul primo pullman, uno dei due – stando alla versione dei tifosi – che sarebbero stati teatro delle violenze gratuite della polizia. Non vuole il nome, non perché abbia paura, ma perché potrebbe patire conseguenze sul lavoro, al quale non ha rinunciato nemmeno ieri mattina nonostante sia riuscito a rientrare da Firenze solo alle 7,45, evitando di passare dal pronto soccorso per farsi refertare le lesioni subite.

«La pattuglia della polizia davanti al nostro bus, che era il primo della fila, rallenta bruscamente costringendoci ad accostare – continua il trentenne -. Immediatamente arrivano 4-5 cellulari, 2-3 della polizia e due dei carabinieri, più altre pattuglie. Agenti e militari si infilano i caschi, impugnano manganelli e ci insultano dai finestrini. Poi scendono e accerchiano il nostro bus. Urlano “Vi uccidiamo”, “Siete morti”, “Adesso ci divertiamo, ne mandiamo un po’ in galera e un po’ all’ospedale”, “comunisti di m…”, “spacchiamo un po’ di teste”. Colpendo con manganellate vetri e carrozzeria, obbligano l’autista ad aprire le due porte».

Quattro, cinque agenti salgono da quella anteriore, altrettanti da quella posteriore. «Colpiscono con manganelli, calci e pugni qualsiasi persona e cosa abbiano a tiro. Noi cerchiamo di proteggerci alla bell’e meglio, cercando di ripararci sotto i sedili e urlando di smetterla. Ovviamente, anche noi in un primo momento li insultiamo. Sarà durato un minuto, poi prima di scendere, rifilano uno schiaffo all’autista, facendolo cadere dal posto di guida, perché secondo loro era colpevole di non aver aperto le porte per tempo. Cerchiamo di chiedere aiuto ai tifosi degli altri pullman che vengono fatti defluire e ci passano accanto. Io impugno il telefono e chiamo l’avvocato Riva che era su un altro pullman: “Vieni, presto, qui ci ammazzano”». Dieci minuti più tardi altri 4/5 agenti risalgono sul bus per quella che il trentenne definisce la seconda razione di «botte gratuite».

Sgab

I commenti sono chiusi