ACAD

-Associazione Contro gli Abusi in Divisa – ONLUS –

La solidarietà è un’arma: Dalton RedFivePointStar Calzeeni

La solidarietà è un’arma: Dalton RedFivePointStar Calzeeni

Programma della serata

– Ore 19,00 presentazione del libro denuncia di Riccardo Rosa “Lo sparo nella notte”
Sulla morte di Davide Bifolco, ucciso da un carabiniere Edizionali Napoli MONiTOR
Interventi di
Giovanni Bifolco
Rudra Bianzino
Acad
Enrico Gargiulo
Parteciperà l’autore

– Ore 20,00 cena

– Ore 21,30 tassative!
concerto con
Calzeeni – Roma
Red five point star dalla Slovenia
Dalton Roma
+ VERY SPECIAL GUEST (che sveleremo il giorno prima del concerto)

l’incasso andra’ a sostenere le ultime inziative di Acad come la campagna #federicoovunque e la riapertura del caso Bianzino e le future iniziative portate avanti dall’Associazione Contro gli Abusi in Divisa

All’interno della iniziativa benefit per le campagne di Acad
La solidarietà è un’arma: Dalton RedFivePointStar Calzeeni

presentazione del libro denuncia di Riccardo Rosa
“Lo sparo nella notte”
Sulla morte di Davide Bifolco, ucciso da un carabiniere
Edizionali Napoli MONiTOR

Ore 19,00 Interventi di
Giovanni Bifolco
Rudra Bianzino
Enrico Gargiulo
ACAD
Parteciperà l’autore
– – –

“Lo sparo nella notte”
Un estratto dal libro:
Sono le due e sette minuti, quando il motorino ricompare sullo stradone e sui radar dei carabinieri. A bordo ci sono Vincenzo, Davide e Totore. Il tono delle comunicazioni audio si fa concitato, gli agenti credono di avere finalmente le mani su Arturo Equabile. «Li dobbiamo incastrare stasera, ragazzi!». Vincenzo, Salvatore e Davide si accorgono di essere inseguiti da almeno due auto dei carabinieri e cominciano a scappare. «Ma questi sono armati!», urla il carabiniere Macchiarolo al collega Del Vecchio, credendo di vedere chissà dove una pistola, circostanza che si rivelerà infondata. Sul mezzo infatti non ci sono armi, né tantomeno droga, fatta eccezione per una bustina con marijuana sufficiente a confezionare un paio di canne. Non c’è nemmeno il posto di blocco forzato dal motorino, ipotesi emersa sui giornali e ripetuta per mesi dopo il fatto. C’è invece un inseguimento e, forse, un «alt!» intimato a voce. Nulla più.

Per un paio di minuti, i carabinieri inseguono e i ragazzi scappano. Scappano perché l’SH di Salvatore ha l’assicurazione scaduta da qualche mese. Scappano perché hanno paura di un sequestro del motorino e di una multa. Senza riflettere, scappano. Come dei ragazzini.
«Marescià stanno qua! Stanno qua! Traiano, viale Traiano, Cinthia marescià!».
«Inseguili, portali verso viale Traiano!».
Ci sono due minuti di silenzio dopo quest’ultima chiamata radio. Poi l’appuntato Macchiarolo alza nuovamente il ricevitore e chiede con urgenza l’arrivo di un’ambulanza.
In quei due minuti è accaduto che, raggiunti i tre ragazzi, l’automobile della pattuglia Chiaia ha cominciato a stringere il motorino su viale Traiano. Per qualche metro i due mezzi hanno proseguito uno dietro l’altro, fin quando l’SH ha scavalcato il cordolo che divide la carreggiata e nel tentativo di introdursi in un parco privato – nel quale si entra attraverso un vialetto più piccolo e meno illuminato – ha attraversato l’altra corsia contromano. L’auto ha cercato di seguire il motorino, ma sorpassando il cordolo ha finito per bucare una gomma. Per questo motivo, o forse per l’improvvisa frenata del mezzo a due ruote prima di un’aiuola che delimita la strada, Del Vecchio ha perso il controllo dell’auto, che ha tamponato il motorino, facendo cadere i tre ragazzi.
Al momento dell’impatto, sul posto ci sono otto persone, compresi i protagonisti dell’inseguimento. Ci sono Nunzia, Susy e Giovanni che stanno chiacchierando fuori al Trentotto; ci sono i carabinieri Giosuè Del Vecchio e Gianni Macchiarolo; ci sono i tre ragazzi sul motorino: Vincenzo Ambrosio, Davide Bifolco e Salvatore Triunfo. Arturo Equabile, l’obiettivo dei carabinieri, è a casa, o il diavolo sa dove.
Le ricostruzioni a questo punto sono divergenti. È certo che Vincenzo, che guidava il motorino di Salvatore, riesce ad alzarsi subito e a scappare verso il parco. Al suo inseguimento si lancia Del Vecchio, lasciando accanto all’auto il collega Macchiarolo. Salvatore e Davide sono a terra. Intanto, sentite le sgommate e il rumore causato dall’impatto dei due mezzi, alcune persone corrono verso il punto di collisione. Sono Nunzia, Susy e Giovanni. Contemporaneamente, anche un gruppo di ragazzi che si trova nella sala giochi a pochi metri dall’incidente esce allertato dal botto. I ragazzi, però, scappano impauriti subito dopo, quando sentono il rumore del colpo di pistola sparato dal carabiniere Macchiarolo. Quel colpo trafigge Davide, colpendolo in pieno petto mentre prova a rialzarsi sulle ginocchia. Il giovane cade morto, con la faccia per terra, nell’aiuola in cui era finito dopo lo speronamento. Le discordanze tra le testimonianze diventano a questo punto enormi.
Il carabiniere Gianni Macchiarolo afferma di aver fatto partire il colpo in maniera accidentale. Sostiene di essere inciampato su un marciapiede distante un paio di metri dall’aiuola, nel corso di una colluttazione con Salvatore Triunfo. «Nel momento in cui stavo immobilizzando Triunfo, mettendogli il braccio sinistro dietro la schiena, a causa del fatto che lo stesso cercava di sottrarsi al fermo, divincolandosi, io perdevo l’equilibrio, inciampando sul gradino del marciapiede». Ancora: «Preciso che prima di inciampare il dito indice non era sul grilletto e l’arma era puntata verso l’asfalto. A causa dell’inciampo il mio dito ha pigiato il grilletto». Quando il pubblico ministero chiede all’agente quando e come mai avesse armato la pistola, Macchiarolo risponde in maniera vaga: «Ho messo il colpo in canna quando, scendendo dalla macchina, ho “scarrellato”, […] senza inserire la sicura». Durante la colluttazione con Salvatore, insomma, stando al racconto di Macchiarolo, l’agente avrebbe agito sempre con la pistola priva di sicura.
La versione di Triunfo è molto diversa. Salvatore afferma di non aver nemmeno provato a scappare, dal momento che «essendo mio il motorino sarebbe stato inutile, perché mi sarebbero comunque venuti a prendere a casa». Il ragazzo rimane a terra, e vede invece Davide che prova a rialzarsi sulle ginocchia, dopo la caduta. A quel punto vede Macchiarolo che punta la pistola verso il suo amico, sparando «in un brevissimo lasso di tempo» dopo essere sceso dalla vettura. Salvatore sostiene di non essere stato «né ammanettato, né bloccato» da Macchiarolo prima del colpo di pistola; di non averci parlato, di non aver avuto con lui «alcuna colluttazione, né alcun contatto fisico». È sicuro di aver visto il carabiniere puntare l’arma e sparare a diversi metri dal marciapiede, e che questi non sia in alcun modo caduto o inciampato su nulla.
Giosuè Del Vecchio racconta così il momento dello sparo: «Mentre ero all’inseguimento di Equabile sentivo sparare un colpo d’arma da fuoco che pensavo fosse stato sparato nei confronti del mio collega. Quindi mi giro con immediatezza e però subito mi tranquillizzavo in quanto lo vedo in piedi. Proseguivo l’inseguimento dell’Equabile pensando che nessuno fosse stato colpito». A questo proposito, risulta un po’ strano che Del Vecchio abbia pensato di lasciare il suo collega solo in mezzo a due uomini che dice di credere armati, per proseguire l’inseguimento di Vincenzo Ambrosio. Lo stesso Del Vecchio, tra l’altro, ha detto più volte davanti al pubblico ministero e poi al giudice di aver riconosciuto con certezza Equabile durante quelle ore, avendo il suo volto ben presente in mente, e di aver individuato il latitante nel ragazzo che era seduto al centro del motorino (quindi in Davide Bifolco, in realtà molto diverso per fattezze fisiche da Equabile, ma confuso con quest’ultimo sulla base della loro comune t-shirt bianca). Una volta caduti i ragazzi dal motorino, Del Vecchio si mette all’inseguimento di Vincenzo (che invece era alla guida) e non di Davide, dicendo al pubblico ministero di non aver smesso di correre, e di non essersi recato a vedere cosa stesse succedendo vicino all’auto, perché deciso ad acciuffare Equabile, il vero obiettivo di quell’operazione. Si tratta di dichiarazioni che dimostrano la confusione da parte dei due militari, oltre che uno stato di eccessiva concitazione, sproporzionata rispetto al tentativo di arresto di un ricercato di piccolo calibro. Nel momento in cui perde le tracce di Ambrosio, Del Vecchio entra nella sala giochi – quella da cui i ragazzi erano prima usciti e poi rientrati di corsa – brandendo la pistola e puntando l’arma contro i presenti, mettendoli in riga davanti al muro.
Dal racconto degli altri testimoni vengono fuori altri particolari importanti. Nunzia sostiene di aver visto un carabiniere con la pistola puntata sparare un colpo; Giovanni dice di aver visto il carabiniere sparare «tra la vettura e lo sportello»; Susy dice di non aver visto il momento dello sparo, ma di aver riconosciuto i tre ragazzi in motorino, inseguiti dalla gazzella, e di non aver in alcun modo visto Equabile tra loro. La ragazza non vede Macchiarolo sparare ma, dopo l’impatto, insieme agli altri due amici, si avvicina a Davide, «che stava a terra dopo l’esplosione del colpo». Sempre Susy riferisce di una frase pronunciata da Giovanni subito dopo: «Giovanni ha detto qualcosa in relazione al bossolo, del tipo: “Il carabiniere sta prendendo il bossolo”». A Giovanni Festinese, di questa storia, il pubblico ministero Persico non ha mai stato chiesto nulla sebbene il bossolo del proiettile che ha ucciso Davide non sia mai stato ritrovato.
Dopo che ha verificato l’assenza di Equabile (in realtà Ambrosio) dalla sala giochi, Del Vecchio ritorna sul posto. Lì trova Salvatore a terra, ammanettato, e Davide sempre a terra, morto, anche se, così come tutti i suoi colleghi, afferma di non rendersene conto. Trova Macchiarolo che sta chiedendo via radio un’ambulanza, cosa che fa anche il maresciallo Sarno, arrivato intanto insieme agli altri componenti della sua pattuglia. Nel frattempo la notizia di uno sparo da parte dei carabinieri si è diffusa e dalle palazzine del rione la gente comincia a scendere in strada.
Tra i primi ad arrivare c’è Flora, la mamma di Davide. Qualche minuto prima un gruppo di ragazzi ha bussato alla porta svegliandola. «Davide sta sotto a un posto di blocco, Flora vieni a portare la tessera!», la avvisano, dicendole di uscire in fretta di casa con i documenti del figlio. Forse qualcuno di quei giovani ha scambiato Davide con Salvatore, o forse hanno visto benissimo e non hanno il coraggio di dirle la verità. Fatto sta che appena arrivata sul posto la madre di Davide esce dalla macchina e non crede a quello che vede. Suo figlio è a terra, non si muove. Capisce subito cosa è successo. Va verso il ragazzo, gli prende la testa tra le mani e trova appena la forza per dire, due volte: «Che gli avete fatto? Che gli avete fatto?». Poi sviene e viene portata qualche metro più in là dai ragazzi che l’hanno accompagnata.
Secondo le testimonianze degli operatori, l’ambulanza arriva dopo pochi minuti, cinque o sei al massimo, rispetto alla chiamata dei carabinieri. A bordo ci sono l’infermiere Giovanni Zullo, la dottoressa Annamaria Esposito, e Giuseppe Sciarnè alla guida. Sono le due e venti. La folla in strada aumenta. Il maresciallo Sarno chiede rinforzi alla centrale. Il corpo di Davide è a terra, senza vita. All’arrivo di nuove pattuglie, Sarno consiglia a Macchiarolo e Del Vecchio di allontanarsi per non essere riconosciuti. Per terra, dove giace il corpo del ragazzo, secondo il racconto di tutti i testimoni, non ci sono macchie di sangue. Davide però ha un foro in petto, dal momento che il proiettile ha attraversato l’intero torace all’altezza del cuore. Ma tanto Zullo, quanto la dottoressa Esposito, non ritengono importante approfondire il motivo per il quale il giovane sia lì. Stando alle loro dichiarazioni, infatti, nessuno dialoga con i carabinieri per capire cosa è successo. Nonostante lo stesso Zullo affermi nella sua deposizione che «il ragazzo non si muoveva» e «non dava segni di vita di nessun tipo», nessuno, tra il personale dell’ambulanza, dice di essersi accorto di avere davanti un ragazzo sparato. La dottoressa Esposito riferisce che Davide «non si muoveva, era immobile e aveva gli occhi chiusi», ma anche lei non ritiene opportuno parlare con i carabinieri. Addirittura, nella sua deposizione, dice di aver pensato «si trattasse di un’overdose o di un incidente stradale», una ipotesi che i carabinieri presenti avrebbero potuto smentire seduta stante. Ma Esposito non crede necessario fare domande, così come i militari si guardano bene dal raccontare cosa sia successo. Salvatore Triunfo afferma di aver sentito, mentre era a terra ammanettato, la dottoressa riferire a un ragazzo che cercava di rinvenire Davide: «È inutile, è finito».
Nonostante una morte già sopraggiunta, e quindi senza nessuna necessità di affrettare i tempi, il personale dell’ambulanza preleva il corpo del ragazzo. Medico e infermieri contribuiscono in questo modo a confondere la scena del delitto senza nemmeno effettuare le verifiche necessarie per capire se Davide sia ancora in vita o abbia trovato la morte in quello stesso posto. L’infermiere Zullo spiega: «Quando ho messo il ragazzo in ambulanza non ho capito se era vivo o morto, perché non avevo preso i parametri, non essendoci tempo a sufficienza».
A dispetto della testimonianza di Salvatore Triunfo sul dialogo tra la dottoressa e il ragazzo, e delle dichiarazioni rilasciate al pm – alla quale i membri del personale medico raccontano di essersi trovati davanti un ragazzo che «non dava segni di vita» –, la dottoressa Esposito sostiene di aver accertato che Davide fosse morto «immediatamente dopo» aver messo il corpo in ambulanza, lasciando intendere con quell’avverbio che avrebbe potuto effettuare quelle stesse verifiche, nello stesso breve tempo, anche sul luogo dello sparo. Le verifiche non vengono fatte, come di consueto avviene, con il corpo a terra, condotta appropriata che avrebbe permesso le operazioni di sagomatura del cadavere sul selciato, una recinzione dell’area e delle analisi più approfondite sulla dinamica dello sparo, rese invece impossibili da questa gestione ambigua dei soccorsi. «Dopo, scoprendo il torace, ci siamo resi conto che aveva un foro di arma da fuoco. In quel lasso di tempo ho capito che il ragazzo era deceduto, anche perché, in aggiunta a quanto detto, era pallido. Non ho chiesto niente in merito al tracciato del defibrillatore all’infermiere – racconta ancora Esposito – dato che per me era evidente che il ragazzo fosse morto». Sono passate le due e venti da qualche minuto quando il corpo senza vita di Davide Bifolco viene portato via dal luogo dell’omicidio. Nessuno tra il personale dell’ambulanza è stato in alcun modo indagato per il comportamento di quella notte.

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