ACAD

-Associazione Contro gli Abusi in Divisa – ONLUS –

Archivia 15 Marzo 2016

Intervento di Acad al Parlamento Europeo

Intervento di Luca Blasi di Acad all’audizione sugli abusi delle forze dell’ordine italiane ospitata quest’oggi dal Parlamento Europeo

Questa audizione di oggi è una tappa importante di un percorso.
Un percorso che ha due direttrici preponderanti, l’una affianco all’altra. Due percorsi che parlano di dolore e di dignità.
Innanzitutto il dolore. Parliamo di cittadini uccisi mentre erano nelle mani dello Stato. Dolore, perché dopo averli uccisi una volta hanno provato ad uccidere anche il loro ricordo, spesso raccontando a mezzo stampa tante bugie per giustificare quelle morti. Dolore, perché in Italia è davvero molto difficile avere giustizia. Dolore, perché volte è difficile anche solo chiedere giustizia.
La dignità la troverete nelle voci di chi è venuto a portarvi queste storie di abusi in divisa. Dentro ognuna di queste storie c’è un pezzo del nostro paese, della violenza che lo attraversa. La dignità di chi ha dovuto fare gesti faticosi e difficili, di chi ha dovuto farsi forza e invece che chiudersi nel proprio dolore. Di chi ha dovuto alzare la testa e gridare la verità, nonostante intorno tanti politici, tanti giornalisti e tanti magistrati non volessero ascoltarla.
La dignità di molte realtà come Acad che giorno dopo giorno sostengono dal basso questa resistenza civile, che lotta per la verità e giustizia ma soprattutto perché non accada mai più.
Oggi siamo venuti a dirvi che l’Italia, paese membro dell’Unione europea, tortura i suoi cittadini nelle carceri e nelle caserme. Che sempre di più si fa un uso dei Trattamenti sanitari obbligatori in maniera criminale. Potrete leggere nel dossier che abbiamo preparato come è potuto accadere che tutta la formazione delle forze dell’ordine sia basata su di un modello fascista: la sopraffazione e il cameratismo sono gli aspetti principali e fondanti dell’essere agenti e militari.
L’Italia non ha mai introdotto nel proprio codice penale il reato di tortura. Nei rari tentativi in cui alcuni esponenti politici hanno avanzato delle proposte di legge abbiamo visto manifestazioni dei principali sindacati di polizia. Alti esponenti sindacali hanno dichiarato: “Se approvate questa norma sulla tortura non possiamo più lavorare”. Sono gli stessi sindacati che accolgono applaudendo gli agenti condannati per l’omicidio di Federico Aldrovandi, un giovane ragazzo di Ferrara arrestato senza nessuna colpa, pestato e poi ucciso da una manovra di arresto criminale.
Tutto ciò dopo che l’Italia ha conosciuto la vergogna del G8 di Genova, che Amnesty ha definito come “la più grave sospensione dei diritti umani avvenuta in Europa dal dopoguerra”. Lo stesso teatrino dei sindacati di polizia lo vediamo ogni volta che si parla di numero identificativo sulle divise degli agenti in modo da poter accertare la responsabilità personale.
Non siamo di fronte a un problema che riguarda “qualche mela marcia”. Non si tratta del comportamento sconsiderato di pochi agenti. È un sistema che coinvolge le forze dell’ordine, la magistratura e la politica del nostro paese.
Siamo consapevoli di essere portatori di una verità scomoda, ma vi chiediamo di ascoltarla. Perché pensiamo che sia giunto il momento di lanciare un allarme democratico. Proprio quattro giorni fa, un servizio televisivo di una televisione italiana ha dimostrato, per voce di torturati e torturatori, come nelle carceri del nostro paese si faccia quotidiano uso della tortura, della contenzione e della punizione corporale. Si tratta della abituale e normale gestione dell’ordine carcerario, esistono veri e propri luoghi dove esercitare queste pratiche.
Questa verità sta emergendo anche dalle carte di pochi coraggiosi pubblici ministeri. Coraggiosi, perché processare appartenenti alle forze dell’ordine e istituire i processi che li riguardano in Italia è difficile come e forse di più che processare i mafiosi. Lo spirito di corpo, il cameratismo, l’appoggio politico e la paura di molti magistrati di perdere un rapporto sereno con gli agenti con cui devono collaborare magari per altre indagini producono una copertura delle violenze.
Ma qualcosa sta cambiando, sempre di più la gente sta capendo che la violenza cieca e indiscriminata colpisce tutti, che l’impunità rischia di strappare altre vite e fomentare altra violenza.
Per questo siamo qui. Perché anche in Europa si sappia che l’Italia, paese membro dell’Unione europea, ha un problema democratico serio che va affrontato al più presto, con misure urgenti che mandino un segnale chiaro alle forze dell’ordine: basta violenze, basta impunità, basta coperture.
Dedichiamo questa nostra audizione ad un nostro concittadino: a Giulio Regeni, che amava la verità ed e stato ucciso anche lui da chi pratica omicidi e torture coperto dalla divisa ufficiale o no di uno Stato. A lui e alla sua famiglia va il nostro più profondo abbraccio.

L’Italia che tortura: ecco perché Acad va a Bruxelles

Troppi abusi di polizia, un codice penale su misura per lasciarli impuniti, l’inarrivabile legge sulla tortura. Le ragioni della delegazione di Acad a Bruxelles su invito dell’eurodeputata Eleonora Forenza
di Checchino Antonini popoffquotidiano.it

C’è un ragazzo di Teramo, Davide Rosci, che sta scontando dieci anni di galera perché l’hanno fotografato mentre rideva troppo vicino a un blindato dei carabinieri in fiamme, il 15 ottobre del 2011 a Piazza San Giovanni. C’è un carabiniere calabrese che non ha subìto nemmeno un processo per aver sparato a Carlo Giuliani a Genova nel 2001 sebbene un filmato spieghi molto di più delle foto che hanno “inchiodato” Rosci. C’è Rachid, un detenuto che ha registrato le minacce e i commenti agghiaccianti dei suoi carcerieri: da quattro anni migra da un carcere all’altro, ora è a Lucca, e sta subendo una decina di processi fotocopia per reati mai commessi ma puntualmente denunciati dalla polizia penitenziaria. Rachid registra e denuncia perché «non voglio fare la fine di Cucchi», ha spiegato in una delle Aule. C’è l’ex moglie di un carabiniere intercettata mentre rimprovera l’ex marito di essersi «divertito a pestare un drogato di merda». Si trattava di Stefano Cucchi e sua sorella Ilaria da sei anni si batte per un vero processo. Come Lucia, sorella di Giuseppe Uva, morto per le conseguenze dell’arresto. O come Domenica, figlia di Michele Ferrulli. Quattro poliziotti, invece, sono ancora in servizio nelle questure del Nordest (al pari dei loro colleghi reduci dalla Diaz e da Bolzaneto), sebbene tre processi li abbiano definitivamente condannati per l’omicidio di Federico Aldrovandi. Condanna lieve, tre anni e mezzo, poche settimane scontate. Per le commissioni disciplinari il fatto non comporta disonore alla divisa. Anzi, i quattro vengono trattati da eroi nei raduni sindacali di Sap e Coisp.
Il comando generale dei carabinieri, invece, ha appena annullato, con una circolare inspiegabile, l’indicazione di evitare qualsiasi forma di compressione toracica di un soggetto arrestato. Eppure Riccardo Magherini, Aldro, Riccardo Rasman e Michele Ferrulli sono morti proprio in quella posizione, i primi per asfissia posturale, l’ultimo per attacco ipertensivo, non gli ha retto il cuore.
Da sempre, in Italia, le scale e le finestre più pericolose sono quelle delle questure e delle carceri e processare un uomo con la divisa è difficile come processare uno stupratore o un mafioso – ha avvertito il pm del caso Diaz, Enrico Zucca – perché scattano meccanismi di criminalizzazione delle vittime e di omertà travestita da “spirito di corpo”. Anche Fabio Anselmo – legale di Rachid Assaragh, delle famiglie Magherini, Cucchi, Budroni, Bifolco – punta spesso l’indice contro la «vittimizzazione secondaria, la colpevolizzazione della vittima: c’è una direttiva europea del 2012 che prova a ridurne i rischi». Ma in Italia non sembra essere sbarcata. Cucchi è sempre un drogato di merda, Bifolco (incensurato, ucciso a Napoli mentre guidava un motorino da un carabiniere che è “inciampato”) un camorrista, Dino Budroni uno stalker, Ferrulli un beone e Magherini un pazzo intossicato dalla cocaina. Purché non si metta in discussione la rispettabilità delle forze dell’ordine, la qualità del loro addestramento, la loro fedeltà alla Costituzione. «In quasi tutte queste storie, gli imputati in divisa sono stati oggetto delle indagini compiute dai loro stessi colleghi», dice ancora Anselmo chiedendosi «chi controlla i controllori?». La norma sull’uso legittimo della forza sottrae moltissimi autori di violenze dalla possibilità dell’incriminazione. Eventuali reati sono quasi sempre colposi.
«Possiamo parlare di “anomalia italiana” che ci fa vivere in uno stato d’eccezione non dichiarato – spiega Eleonora Forenza, giovanissima manifestante no global quindici anni fa e ora deputata europea per l’Altra Europa – un codice penale costruito su misura per criminalizzare il dissenso (una vetrina vale più di una vita umana) ha prodotto una montagna di diciottomila persone sotto processo per reati legati al conflitto sociale. L’ignavia dei governi degli ultimi trent’anni ha impedito che fosse varato un reato di tortura imprescrittibile e specifico dei pubblici ufficiali. E le lobby delle forze dell’ordine hanno bloccato che l’introduzione di un codice alfanumerico consentisse a un magistrato di identificare gli agenti travisati in ordine pubblico». L’anomalia italiana è anche il titolo di un dossier che Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa, presenterà a Bruxelles il 15 febbraio in un’audizione promossa dalla stessa Forenza, impegnata nella realizzazione di un Libro bianco sulla repressione in Europa, che vedrà protagonisti alcuni familiari di vittime di malapolizia, i loro legali e gli attivisti italiani che, subito dopo l’audizione, incontreranno attivisti belgi nella sede del Colectivo Garcia Lorca aperto negli anni ’30 dagli esuli spagnoli in fuga dal franchismo. «C’è uno scenario europeo in forte evoluzione, vedi lo stato d’eccezione francese – avverte Luca Blasi, uno degli attivisti di Acad – che si intreccia con l’anomalia italiana che è tale per il dato quantitativo degli abusi e per quello qualitativo: pm che non fanno indagini, reati cuciti su misura, assenza di provvedimenti disciplinari, retorica delle marce, abuso dei Tso e degrado delle carceri».
Il numero verde di Acad, per la segnalazione delle emergenze, squilla almeno una decina di volte ogni settimana. Gli attivisti seguono le udienze dei processi, negli Acadpoint vengono raccolte altre denunce, si tengono i contatti con i legali, si dà vita a dibattiti sugli abusi in divisa. Un lavoro di due anni che eredita il know how di altre esperienze, con cui Acad lavora spesso gomito a gomito, da Antigone ad Amnesty, dai Giuristi democratici all’Osservatorio Repressione.

ACAD al Parlamento Europeo

di Luca Blasi – ACAD

https://youtu.be/NiYPr_Ny3_Y

Il 15 Marzo 2016 alle ore 15 a Bruxelles nella sala del Parlamento Europeo arriverà dall’Italia una verità scomoda che parla di abusi in divisa.
È il momento giusto per pretendere ancora più attenzione, ancora più verità e insieme più risposte.
ACAD l’Associazione Contro gli Abusi in Divisa e i familiari delle vittime verranno ascoltati nel Parlamento Europeo in un’audizione organizzata grazie al lavoro congiunto tra l’associazione e l’eurodeputata Eleonora Forenza (GUE/NGL), con tutto il suo staff.
Un’audizione in cui presenteremo e racconteremo quella che abbiamo definito l’ “Anomalia Italia” ovvero il complesso sistema di abusi e coperture che nel nostro paese costituiscono la piaga della violenza esercitata da chi indossa una divisa dello Stato. Una piaga dalle proporzioni insopportabili, sia sul dato “quantitativo” che “qualitativo”.
“Quantitativo” perché il numero di persone uccise o morte in circostanze sospette, per violenza diretta o comportamenti sbagliati da parte delle forze dell’ordine, non ha eguali in Europa; a questo dato si aggiunge con sempre più fermezza (come hanno dimostrato diverse inchieste in parte riportate nel servizio della trasmissione le Iene del 08 marzo 2016) un sistema abitudinario di tortura fisica e psichica esercitata all’interno delle carceri italiane.
“Qualitativo”, invece, perché le coperture politiche, giuridiche e culturali sono ai massimi livelli di allerta democratica: l’Italia ha ratificato nel gennaio del 1989 la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti ma non ha ancora approvato la legge di ratifica nonostante i richiami ufficiali della Corte di Strasburgo. Un paese in cui esponenti sindacali delle forze dell’ordine applaudono pubblicamente i colleghi condannati per aver commesso violenze e omicidi. Un paese dove, come dichiarò l’avv. Fabio Anselmo con il quale abbiamo costruito questa audizione, processare gli appartenenti alle forze dell’ordine è difficile come istituire i processi per mafia: troppe le coperture, troppe le paure anche dei pubblici ministeri, troppa la solidarietà incondizionata da parte della classe politica.
Per la prima volta tutto questo entrerà nella massima sede europea e parlerà pubblicamente per voce delle vittime di questi abusi e degli attivisti che da anni presidiamo le aule di tribunale e le piazze affinché nessuno e nessuna possa voltarsi dall’altra parte.
Nel dossier, che Acad presenterà, sono presenti tutte le storie delle vittime di abusi in divisa, insieme a quelle della delegazione rappresentativa di familiari che partirà per Bruxelles.
Ci saranno Ilaria Cucchi (sorella di Stefano), Lucia Uva (sorella di Giuseppe), Claudia Budroni (sorella di Dino), Grazia Serra (nipote di Francesco Mastrogiovanni), Domenica Ferrulli (figlia di Michele), Andrea Magherini (fratello di Riccardo), Rudra Bianzino (figlio di Aldo) e Osvaldo Casalnuovo (padre di Massimo).
Uno spaccato di quel Paese che non si è arreso e che nelle aule di tribunale e nelle strade sta dando battaglia affinché ogni abuso non rimanga impunito, non rimanga isolato, anche forzando l’opinione pubblica con continue campagne e azioni. Ognuna di queste storie ne contiene molte altre: ci parlano di manovre di arresto criminali, di violenza arbitraria nelle caserme e nelle strade, di somministrazioni di T.S.O e metodi di contenzione assassini, di tortura.
Tutto questo deve finire perché in ballo c’è la libertà e la sicurezza di tutti noi. Della nostra intera comunità.
Il 15 Marzo 2016 è anche l’International Day Against Police Brutality e proprio in quella giornata i Movimenti Antifascisti di Bruxelles saranno nelle strade per dare vita alla Manifestation Contre Les Violences Policieres. Nel loro comunicato scrivono : “Il 15 marzo, in occasione della giornata internazionale contro le violenze della polizia, ci sarà a Bruxelles una grande manifestazione, giunta ormai alla sua quinta edizione. La repressione di stato avviene nei quartieri e nelle strade, dove una popolazione già indebolita e frammentata dalle politiche di austerità, viene sottomessa dal braccio armato dello stato, la polizia. In Belgio, il livello di allerta 4 imposto in seguito agli attentati di Parigi, non ha fatto altro che alimentare sentimenti di paura fra la popolazione, offrendo ancora più impunità alle perquisizioni sommarie, alle violenze e ai soprusi della polizia, che avvengono soprattutto nei quartieri più poveri.”
A seguire, ACAD parteciperà ad un’assemblea di movimento nella storica sede dei movimenti di Bruxelles, il Garcia Lorca, dove ci si confronterà intorno ai temi della sicurezza, del diritto e della violenza poliziesca in Europa. Un momento comune in cui analizzare il nuovo scenario securitario europeo e costruire strumenti condivisidi lotta e informazione.

#acadineurope #bastaabusi #acaditalia

Da dinamopress

Omicidio Ferrulli, chiesti 7 anni e 8 mesi per due agenti

Milano, l’accusa chiede la condanna per omicidio preterintenzionale per due dei quattro agenti protagonisti del violento arresto di Michele Ferrulli. Per gli altri c’è l’omicidio colposo. In primo grado tutti furono assolti
di Checchino Antonini popoffquotidiano.it

Il sostituto pg di Milano Tiziano Masini ha chiesto la condanna per omicidio preterintenzionale e falso per due poliziotti a 7 anni e 8 mesi di carcere per la morte di Michele Ferrulli, il manovale di 51 anni che il 30 giugno 2011 morì a Milano per un arresto cardiaco mentre quattro poliziotti lo stavano ammanettando. Per gli altri due agenti ha chiesto condanne a 18 e 16 mesi con la derubricazione in omicidio colposo per eccesso colposo. In primo grado, i quattro erano stati tutti assolti. La requisitoria, secondo l’avvocato Fabio Ambrosetti, è stata puntuale e coraggiosa: «Ha restituito la dignità a Michele Ferrulli», ha detto a Popoff il legale della famiglia.
In particolare, il sostituto pg ha chiesto 7 anni e 8 mesi per Francesco Ercoli e Michele Lucchetti per omicidio preterintenzionale, andando oltre anche ai 7 anni chiesti in primo grado dal pm Gaetano Ruta nel processo poi conclusosi con il colpo di spugna nel luglio 2014. Per il pg, infatti, non si deve applicare la continuazione dei reati tra l’omicidio e l’accusa di falso ideologico contestata ai 4 agenti per quanto riportato nelle loro relazioni di servizio su quella sera. Per Ercoli e Lucchetti, tra l’altro, il pg ha anche chiesto ai giudici che in subordine, se non verrà riconosciuto l’omicidio preterintenzionale, vengano condannati per omicidio colposo con eccesso colposo nell’uso dei mezzi di coazione fisica a 1 anno e 10 mesi (Ercoli) e a 1 anno e 8 mesi (Lucchetti). Gli altri due poliziotti, Roberto Stefano Piva e Sebastiano Cannizzo, vanno condannati, invece, secondo il pg, per omicidio colposo con eccesso colposo rispettivamente a 16 e 18 mesi con la sospensione della pena. Il pg ha anche chiesto di riconoscere a tutti gli imputati le attenuanti generiche perché incensurati. Più tardi parleranno i legali dei familiari di Ferrulli, parti civili, gli avvocati Ambrosetti, Carlo Federico Grosso e Valentina Finamore, e i giudici della Corte d’Assise d’appello (presieduta da Sergio Silocchi) fisseranno un’altra data per l’intervento dei difensori.
Michele Ferrulli, 51 anni, originario di Bari ma viveva a Milano dove lavorava come operaio edile. Michele con la sua famiglia occupava un alloggio in via del Turchino. Una persona mite e generosa, secondo chi lo conosceva bene, impegnato a combattere a favore degli occupanti di case nel suo quartiere. La sua vita si spezza la sera del 30 giugno in via Varsavia. Un residente segnala alla polizia la presenza di diverse persone che, per strada, ascoltano musica ad alto volume, orinano sulla saracinesca di un bar e si abbandonano a urla e schiamazzi. Il gruppetto è composto da Michele e da due suoi amici. Intervengono due volanti.Al loro arrivo gli agenti dichiarano di aver chiesto i documenti ma di essere stati subito insultati da Michele che li minaccia e tanta di aggredirli. I poliziotti rispondono con la forza e lo immobilizzano a terra per ammanettarlo, operazione che è durata diversi minuti, forse troppi per il cuore di Michele Ferrulli. La questura dichiara la morte per infarto.Le testimonianze dei due amici e di altre persone presenti parlano, però, di un pestaggio da parte dei quattro agenti. Alcuni dicono che Michele veniva selvaggiamente picchiato mentre gridava ripetutamente aiuto. Una circostanza confermata da video in cui si sentono le urla e le invocazioni di aiuto di Ferrulli, i commenti in sottofondo, di chi in quel momento stava girando le immagini e si possono nitidamente vedere i colpi di manganello e i pugni.

Firenze: aggiornamento processo Magherini 10 marzo

Bocciata completamente la linea difensiva del “Proni si respira meglio”.

Si è da poco conclusa l’udienza del processo Magherini: oggi sono stati presentati al giudice Bilosi numerosi documenti sia da parte della difesa che della parte civile. Nell’ordinanza di ammissione delle prove pronunciata a fine udienza, il giudice respinge la richiesta del P.M. presentata nella scorsa udienza di perizia avanzata (dove dichiarava ridicolmente che in posizione prona si respira meglio). Inoltre onera il difesore della parte civile avv. Anselmo di produrre il testo integrale -Asfissie meccaniche violente- ed aquisisce i supporti video e dvd prodotti dall’avv Anselmo e Maresca contenenti il manuale di autodifesa della Polizia di Stato, ed anche dispone delle sentenze sull’omicidio di Federico Aldrovandi e Riccardo Rasman, e della traduzione dell’articolo redatto da Chan e altri “Weight force during prone restraint and respiratory function”.
Oggi il giudice Bilosi avrebbe anche dovuto decidere se accettare la richiesta, presentata nell’udienza precedentemente, di sentire le “volontarie dichiarazioni” del maresciallo Castellano, uno dei quattro carabinieri imputati, che però oggi evidentemente ha nuovamente cambiato idea, non presentandosi in tribunale.

BASTA IMPUNITà, VERITà E GIUSTIZIA PER RIKY!